Ordinamento professionale ➡️ Titolo II – Albi, elenchi e registri (artt. 15 – 23) ➡️ Art. 18
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1. La professione di avvocato è incompatibile:
a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro[art. 17 co. 5 L. n. 247/2012];
b) con l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui. È fatta salva la possibilità di assumere incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa;
c) con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonchè con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonchè con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione.
L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonchè per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico;
d) con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato.


Normativa correlata.

Principi generali.

La ratio delle incompatibilità della professione di avvocato
Le incompatibilità della professione di avvocato previste dalla legge professionale mirano a tutelare, assicurare e garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocato, anche per evitare condizionamenti di qualunque genere, al fine di permettere al professionista di svolgere la funzione di assicurare al cittadino la piena ed effettiva tutela dei suoi diritti e ciò in considerazione del rilievo costituzionale del diritto di difesa. Inoltre, la norma sulla incompatibilità è preordinata anche ad assicurare lo svolgimento della professione nel rispetto dei principi sulla corretta e leale concorrenza, come previsto dall’art. 3, comma 2, legge professionale (Cass. n. 35981/2023).
In altri termini, la ratio della disciplina dettata dalla legge professionale in materia di incompatibilità risiede nell’esigenza di tutelare la professione e, in particolare, l’autonomia di giudizio, di valutazione tecnico-giuridica e di iniziativa processuale ed extraprocessuale dell’avvocato nell’interesse del cliente e nel contempo di tutelare il prestigio ed il decoro dell’Ordine dal discredito certamente derivante da ogni violazione dell’irrinunciabile principio di autonomia di giudizio e libertà di determinazione anzidette (CNF n. 58/2012)

Le incompatibilità professionali sono conformi a Costituzione e ai principi dell’Unione Europea
In tema di ordinamento professionale forense, la ratio della disciplina delle incompatibilità è quella di garantire l’autonomo e indipendente svolgimento del mandato professionale sicché la previsione di specifiche ipotesi di incompatibilità non appare lesiva di precetti costituzionali né dei principi dell’Unione Europea, in quanto frutto di discrezionali scelte del legislatore che trovano giustificazione nella necessità di assicurare, in relazione a interessi di ordine generale, la professionalità dell’avvocato, l’indipendente esercizio della relativa attività professionale, la libertà richiesta dall’esercizio della professione forense, al fine di prevenire la maggiore pericolosità e frequenza di inconvenienti per effetto della commistione con altri ambiti professionali (Cass. n. 35981/2023, Cass. n. 15208/2016, CNF n. 204/2015, CNF n. 58/2012).

Il regime dell’incompatibilità professionale non è stato tacitamente abrogato dalla normativa sull’ufficio del processo (che, anzi, espressamente lo conferma)
Il regime di incompatibilità disciplinato dall’art. 18 lett. d) L. n. 247/2012 ed in particolare il divieto di cumulare l’attività professionale con l’esercizio del lavoro subordinato è posto a tutela dell’interesse pubblico collegato all’inviolabilità del diritto di difesa e subisce eccezione esclusivamente nei casi di strettissima interpretazione nei casi tassativamente previsti dalla Legge Forense (artt. 19 per le attività di docenza, e 23 per gli Avvocati addetti in via esclusiva agli uffici legali degli enti pubblici). Pertanto, tale principio non può intendersi tacitamente abrogato dal D.L. n. 80/2021, il quale non costituisce deroga generale giacché anzi espressamente conferma che l’assunzione degli Avvocati alle dipendenze dell’ufficio per il processo “configura causa di incompatibilità con l’esercizio della professione forense e comporta la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per tutta la durata del rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica”. Deve pertanto ritenersi manifestamente infondata la qlc dell’art. 18, lett. d) L. n. 247/2012 anche in relazione all’art. 3 Cost. (CNF n. 4/2023).

Le conseguenze della sussistenza di una delle cause di incompatibilità della professione di avvocato
La sussistenza di una delle cause di incompatibilità della professione di avvocato previste dalla legge professionale determina la non iscrizione o, se si tratta di professionista già iscritto, la cancellazione dall’albo, salvo le eventuali violazioni di natura deontologica connesse e conseguenti. Inoltre, un’altra importante ricaduta, derivante dall’esercizio della professione forense in situazione di incompatibilità, è l’impossibilità di costituire un valido rapporto previdenziale con la Cassa Forense, con il conseguente venir meno di diritti del soggetto, illegittimamente iscritto, in riferimento al rapporto previdenziale, anche se l’incompatibilità non dovesse essere accertata (Cass. n. 35981/2023, CNF n. 90/2022).

Il dovere deontologico di evitare incompatibilità con l’esercizio della professione forense
In tema di ordinamento professionale forense, qualora sia accertata una incompatibilità, ai sensi dell’art. 37, primo comma, numero 1, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, in relazione all’art. 3 dello stesso R.D.L., può farsi luogo all’adozione del provvedimento amministrativo, non sanzionatorio, della cancellazione dall’albo. Ma ciò non esclude che, qualora la sussistenza di una situazione di incompatibilità venga fraudolentemente celata o negata dal professionista, tale condotta integri gli estremi di un illecito disciplinare (Cass. n. 10162/2003)

La violazione dell’obbligo di evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo
E’ deontologicamente rilevante il comportamento dell’avvocato che richieda o mantenga l’iscrizione all’albo in pendenza di una causa di incompatibilità con l’esercizio della professione (CNF n. 96/2015).

I quattro gruppi di incompatibilità della professione di avvocato
Fatte salve eccezioni espresse, l’art. 18 della legge professionale forense riconduce le varie ipotesi di incompatibilità della professione di avvocato sostanzialmente a quattro gruppi: l’esercizio di altra attività di lavoro autonomo (lettera a); l’attività commerciale (lettera b); l’assunzione di cariche societarie (lettera c); l’attività di lavoro subordinato (lettera d) (Cass. n. 35981/2023).

a) L’esercizio di altra attività di lavoro autonomo.

Professione forense: l’incompatibilità non richiede che la differente attività sia svolta continuativamente o professionalmente
In tema di ordinamento della professione forense, ai sensi della legge n. 247 del 2012, art. 18, comma 1, lett. a), è sufficiente l’iscrizione in un albo professionale, diverso da quelli per cui quest’ultima è ivi espressamente consentita, a determinare l’incompatibilità quanto all’iscrizione all’albo degli avvocati (anche all’elenco speciale di quelli stabiliti), non essendo necessario, affinché tale situazione si verifichi, che la differente attività sia svolta continuativamente o professionalmente (Cass. n. 35981/2023).

Incompatibilità ex art. 18, comma 1, lett. a), della l. n. 247 del 2012 – Mera iscrizione in albo professionale – Configurabilità – Svolgimento di altra attività continuativamente o professionalmente – Necessità – Esclusione – Fattispecie.
In tema di professione forense, per integrare l’incompatibilità prevista dall’art. 18, comma 1, lett. a), della l. n. 247 del 2012 è sufficiente la mera iscrizione in un altro albo professionale (diverso da quelli per cui è espressamente consentita), non essendo necessario che la differente attività sia svolta continuativamente o professionalmente (Cass. n. 35981/2023: odontoiatri).

L’iscrizione in più albi professionali è possibile solo nei casi espressamente consentiti
L’art. 18 L. n. 247/2012 stabilisce che la professione di avvocato è incompatibile “con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio”; mentre permette “l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro”. Tali eccezioni costituiscono un numerus clausus e non sono pertanto assoggettate ad interpretazione analogica, e ciò a prescindere dall’effettivo esercizio dell’attività professionale incompatibile, essendo infatti sufficiente la sola l’iscrizione in un albo professionale, diverso da quelli esplicitamente elencati, per poter determinare l’incompatibilità con quella nell’albo degli avvocati. Infine, tale previsione non contrasta con la Costituzione né con i principi dell’Unione europea (Cass. n. 35981/2023, CNF n. 46/2023, CNF parere n. 68/2021, Cass. n. 26996/2016, Cass. n. 15208/2016, CNF parere n. 41/2016, CNF n. 204/2015, CNF n. 50/2005, CNF parere n. 94/2013).

b) L’attività commerciale.

c) L’assunzione di cariche societarie.

Incompatibilità professionale: l’avvocato socio unico di una società di capitali
L’avvocato che costituisca una società di capitali, della quale sia socio unico (coi conseguenti profili concernenti l’attività e la responsabilità proprie del socio di una s.r.l. unipersonale), si trova, ai sensi dell’art. 18 L. n. 247/2012 (già art. 3 R.D.L. n. 1578/1933), e dell’art. 6 del Codice deontologico (già art. 16 codice previgente) in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense, qualora risulti che tale carica abbia comportato effettivi poteri di gestione o di rappresentanza (Cass. n. 30312/2023).

La carica sociale con poteri di gestione o rappresentanza è incompatibile con l’esercizio della professione forense (anche se poi, di fatto, l’avvocato non esercita quei poteri)
L’avvocato che ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore delegato o unico di una società commerciale si trova in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense laddove tale carica comporta effettivi poteri di gestione o di rappresentanza e non si limiti esclusivamente all’amministrazione di beni personali o familiari (art. 6 cdf in relazione alla previsione dell’art. 18 della L. n. 247/2012). Ciò posto, la circostanza che poi di fatto, l’avvocato eserciti o meno quei poteri è deontologicamente irrilevante né attenua in alcun modo il regime di incompatibilità previsto per la professione forense (CNF n. 235/2022, CNF n. 55/2020, CNF n. 172/2014).

Non sussiste incompatibilità tra iscrizione nell’Albo e l’assunzione della carica di socio e socio-amministratore-presidente di una società semplice il cui oggetto sociale esclude lo svolgimento di attività commerciali o imprenditoriali (CNF parere n. 67/2021, CNF parere n. 27/2017, CNF parere n. 5/2012, CNF parere n. 47/2003).

La carica sociale con poteri di gestione o rappresentanza è incompatibile con l’esercizio della professione forense (anche se l’avvocato è pure commercialista)
L’avvocato che ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore delegato o unico di una società commerciale si trova in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense laddove tale carica comporta effettivi poteri di gestione o di rappresentanza e non si limiti esclusivamente all’amministrazione di beni personali o familiari. Ciò posto, la circostanza che una simile incompatibilità non valga per i commercialisti non implica certo una deroga per l’avvocato che svolga anche la professione di commercialista, giacché il contemporaneo esercizio di altra attività professionale (nei limiti in cui ciò sia consentito, come appunto nel caso dell’iscrizione all’albo dei commercialisti) non attenua in alcun modo il regime di incompatibilità previsto per la professione forense (CNF n. 178/2021).

Anche nel nuovo ordinamento, la professione forense non è incompatibile con la qualità di piccolo imprenditore agricolo ossia colui che, per mezzo del lavoro proprio o di quello dei propri congiunti, coltiva il fondo di sua proprietà, eventualmente cedendo i frutti a terzi (CNF parere n. 31/2021, CNF parere n. 92/2013, CNF parere n. 1/2011, CNF parere n. 44/2009, CNF parere n. 31/2007).

La carica sociale con poteri di gestione o rappresentanza è incompatibile con l’esercizio della professione forense (anche a prescindere dal fine di lucro)
Il legale che ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore delegato o unico di una società si trova in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense laddove tale carica comporti effettivi poteri di gestione o di rappresentanza (art. 18 L. 247/2012, già art. 3 r.d.l. n. 1578/1933), anche a prescindere dal fine di lucro della società stessa (CNF n. 56/2017, CNF n. 172/2014)

L’avvocato può essere socio accomandante (ma non accomandatario)
La carica di socio accomandante (dunque, senza poteri di gestione della società) non è incompatibile con l’esercizio della professione forense (CNF n. 136/2015, CNF parere n. 45/2012), mentre non può essere accomandatario ancorché di società inattiva (CNF n. 3/2008).

d) L’attività di lavoro subordinato.

La ratio del generale divieto di subordinazione del professionista legale
Il generale divieto di subordinazione del professionista legale trova la sua ratio nella fondamentale esigenza di assicurarne autonomia di giudizio e libertà di orientamento, in ragione del rilievo – che attinge aspetti di rilevante interesse pubblico – della sua attività professionale. E’ pertanto ammessa in via del tutto eccezionale l’assunzione, quali lavoratori subordinati, di avvocati iscritti al relativo Albo professionale, a condizione che gli stessi vengano posti alle dirette ed esclusive dipendenze di una pubblica amministrazione, la qual ultima attribuisca loro, in via esclusiva, la trattazione dei propri affari legali (Cons.Stato n. 2731/2017).

L’incompatibilità con il rapporto di lavoro subordinato ex articolo 18, lettera d), L. n. 247/2012 sussiste anche nel caso in cui il lavoratore dipendente sia collocato in aspettativa non retribuita, giacché il collocamento in aspettativa – sebbene non retribuita – non fa venir meno il rapporto di lavoro subordinato (CNF parere n. 5/2020).

Dipendenti pubblici: incompatibile con la professione forense l’attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato
Le disposizioni di cui all’art. 1, commi 56, 56 bis e 57, L. n. 662/1996 (che consentono l’iscrizione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale agli albi professionali quando la prestazione lavorativa non sia superiore al 50% di quella a tempo pieno, c.d. part time ridotto) non si applicano all’iscrizione agli albi degli avvocati (L. n. 339/2003), per i quali -quand’anche iscritti all’albo prima del 1996- restano fermi i limiti e i divieti di cui alla legge professionale, che appunto prevede l’incompatibilità tra la professione di avvocato con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato (art. 18 lett. d L. n. 247/2012). Tale incompatibilità risponde infatti all’esigenza di tutelare gli interessi di rango costituzionale quali, da un lato, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione e, dall’altro, l’indipendenza della professione forense al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa, così da evitare il sorgere di un possibile contrasto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della pubblica amministrazione (CNF n. 195/2019, CNF n. 209/5017).

Compatibilità tra la professione di avvocato e la sussistenza di un impiego pubblico – Personale impiegato presso l’area tecnica dell’Università – Esclusione – Fondamento.
La disciplina prevista dalla l. n. 339 del 2003, che sancisce l’incompatibilità tra impiego pubblico “part-time” ed esercizio della professione forense, trova applicazione anche nei confronti del personale impiegato presso l’area tecnica dell’Università, atteso che i casi di compatibilità costituiscono eccezioni alla regola generale insuscettibili di estensione, rientrando nella discrezionalità del legislatore la modulazione del divieto in vista della necessità di tutelare interessi di rango costituzionale quali, da un lato, quelli di cui agli artt. 97 e 98 Cost., nonché, dall’altro, l’indipendenza della professione forense, in quanto strumentale all’effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost. (Cass. n. 9660/2021).

Compatibilità tra la professione di avvocato e la sussistenza di un impiego pubblico – Personale iscritto all’albo anteriormente al 1996 – Esclusione – Fondamento.
La disciplina prevista dalla l. n. 339 del 2003, che sancisce l’incompatibilità tra impiego pubblico “part-time” ed esercizio della professione forense, essendo diretta a tutelare interessi di rango costituzionale quali, da un lato, l’imparzialità e il buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), nonché, dall’altro, l’indipendenza della professione forense (in quanto strumentale all’effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost.), trova applicazione anche nei confronti di chi abbia ottenuto l’iscrizione all’albo degli avvocati in epoca anteriore all’entrata in vigore della l. n. 662 del 1996 – cui va esteso il regime opzionale appositamente previsto per contemperare la reintroduzione del divieto generalizzato con le esigenze organizzative di lavoro e di vita dei dipendenti pubblici a tempo parziale, già ammessi dalla legge dell’epoca all’esercizio della professione legale – atteso che un’operatività limitata solo per l’avvenire otterrebbe il risultato irragionevole di conservare ad esaurimento una riserva di lavoratori pubblici “part-time”, contemporaneamente avvocati, all’interno di un sistema radicalmente contrario alla coesistenza delle due figure lavorative nella stessa persona (Cass. n. 9660/2021).

Dipendenti pubblici e incompatibilità professionali: manifestamente infondati i dubbi di contrasto con la Costituzione italiana e la normativa comunitaria
Indispensabile condizione all’esercizio della professione forense è l’indipendenza dell’avvocato rispetto ai pubblici poteri, sicché appare ragionevole e legittima -dal punto di vista costituzionale nonché comunitario- la normativa con cui uno Stato membro imponga restrizioni all’esercizio simultaneo della professione forense e dell’Impiego pubblico con il fine di conseguire l’obiettivo della prevenzione dei conflitti d’interesse, dovendo nel contempo escludersi la sussistenza di una disparità di trattamento ovvero di una discriminazione “al contrario” tra gli avvocati italiani e quelli comunitari “stabiliti” o “integrati”, dipendenti di corrispondenti amministrazioni pubbliche degli stati di appartenenza, in forza della norma italiana che prevede l’applicazione di tutte le norme nazionali sull’incompatibilità anche all’avvocato “stabilito” o “integrato” (CNF n. 209/2017).

Cancellazione dall’albo del dipendente pubblico part time: manifestamente infondata la qlc della L. n. 339/2003
In tema di cancellazione dall’Albo per incompatibilità dell’avvocato dipendente pubblico part-time, il divieto ripristinato dalla legge n. 339/2003 deve essere ritenuto coerente con la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano (legittimamente) iscritti nell’albo, anche perché non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che opportunamente e ragionevolmente prevede, nel contesto di un doppio regime di tutela, un adeguato periodo di “moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09). Va pertanto ritenuta manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 35 co.1 e 41 Cost., la q.l.c. degli artt.1 e 2 della Legge n. 330/05, prospettata sotto il profilo della asserita violazione dei diritti c.d. quesiti e dei correlati principi, di carattere interno e comunitario, di tutela dell’affidamento, di eguaglianza, sicurezza giuridica, ragionevolezza e proporzionalità (CNF n. 209/2017, CNF n. 231/2010).

Varie.

Ai sensi dell’art. 4 co. 9 D.Lgs. n. 37/2021, l’iscrizione all’albo forese è compatibile con l’iscrizione al Registro nazionale degli agenti sportivi, anche se l’attività svolta rivestisse il carattere della continuità e della professionalità di cui all’art. 18 L. n. 247/2012 (CNF parere n. 12/2024).

L’assunzione all’Ufficio del processo è incompatibile con l’esercizio della professione forense
L’assunzione dell’avvocato alle dipendenze dell’ufficio del processo configura causa di incompatibilità con l’esercizio della professione forense e comporta la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per tutta la durata del rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, e ciò a prescidere da una richiesta in tal senso dell’iscritto nonché da eventuali altre figure professionali pure ammesse a concorrere per tale posizione per le quali la sospensione d’ufficio non sia prevista, peraltro a nulla rilevando l’eventuale affidamento che l’iscritto avesse fatto, all’atto della partecipazione alla procedura concorsuale e fino all’assunzione, di non subire la sospensione d’ufficio dall’esercizio della professione (CNF n. 244/2022).

Pratica professionale e contemporanea attività di lavoro subordinato
La possibilità di svolgere contemporaneamente il tirocinio ed attività di lavoro subordinato, pubblico o privato, prevista dal comma 4 dell’art. 40 della L. 247/2012, nonché dall’art. 2 del D.M. 70/2016 a condizione che il lavoro subordinato sia svolto con modalità e orari idonei a consentire lo svolgimento del tirocinio, è consentita a tutti i praticanti, anche a quelli abilitati al patrocinio sostitutivo, i quali, non avendo più la possibilità di gestire in proprio pratiche non incontrano di regola il limite della incompatibilità, ove questa non sia dettata da specifiche ragioni (CNF n. 91/2022).

Lo svolgimento dell’attività di istruttore sportivo retribuito da associazione sportiva, senza vincolo di subordinazione, non è di per sè incompatibile con l’esercizio della professione forense, purché non svolta continuativamente né professionalmente ex articolo 18, lett. a) della legge n. 247/12 (CNF parere n. 23/2022).

Le incompatibilità professionali non si applicano ai praticanti semplici
Trattandosi di preclusioni volte a garantire l’autonomo ed indipendente svolgimento del mandato professionale, le incompatibilità di cui alla L. n. 247/2012 non si applicano ai praticanti non ammessi al patrocinio, che possono di conseguenza essere iscritti nell’apposito Registro Speciale anche se legati da un rapporto di lavoro con soggetti pubblici o privati (CNF n. 248/2021).

La rimozione della causa di incompatibilità professionale successivamente al provvedimento di cancellazione dall’albo forense e nelle more del giudizio di impugnazione al CNF
In tema di cancellazione dall’albo forense per una causa di incompatibilità (nella specie, l’avocato era amministratore unico di una società di capitali), il venir meno, nelle more del giudizio di impugnazione, della causa di incompatibilità stessa (nella specie, per dismissione della carica societaria) determina l’accoglimento del ricorso per ragioni sopravvenute e quindi l’annullamento del provvedimento di cancellazione impugnato (CNF n. 3/2021)

L’esercizio della professione forense è compatibile con l’attività di amministratore di condominio, ancorché iscritto nei relativi registri (CNF parere n. 36/2019, CNF parere n. 36/2017, CNF parere n. 23/2013).

I sacerdoti possono iscriversi all’albo forense
L’art. 17 della legge n. 247/12 non ha riprodotto il divieto già recato dall’art. 3, comma 1, del R.D. n. 1578/33, sicché non sussiste ad oggi l’incompatibilità tra esercizio della professione forense e qualità di ministro del culto cattolico con cura d’anime (CNF parere n. 18/2019).

Non sussiste incompatibilità tra le cariche politiche e la professione forense
Le cause di incompatibilità professionale costituiscono numero chiuso e le relative situazioni devono essere interpretate in senso restrittivo, sicché non possono essere applicate estensivamente agli avvocati che ricoprono cariche elettive, per i quali la legge (art. 20 co. 1, L. n. 247/2012) si limita a prevedere la sospensione di diritto ove ricoprano cariche di particolare rilevanza (dal Presidente della Repubblica, passando per i presidenti delle camere e per finire con l’avvocato eletto presidente della provincia con più di un milione di abitanti e per il sindaco di un comune con più di 500.000 abitanti), senza che ciò costituisca disparità di trattamento costituzionalmente rilevante (CNF n. 209/2017).

Incompatibilità professionale: la cancellazione dall’albo è un mero atto esecutivo non discrezionale
In tema di incompatibilità professionali, i Consigli dell’Ordine agiscono come meri organi esecutivi, provvedendo alla cancellazione dall’albo nei casi previsti dalla normativa statale, e ciò senza discrezione alcuna, poiché la legge impone la cancellazione d’ufficio al semplice verificarsi dell’esistenza dell’incompatibilità, sicché deve escludersi in radice ogni possibile connotato pregiudizievole o discriminatorio delle relative delibere consiliari, le quali si limitano a dare attuazione a norme di interesse pubblico che rispettano pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità nonché i principi comunitari in materia (CNF n. 209/2017).

Illecito patrocinare cause nel circondario presso il quale si svolgono le funzioni di Giudice onorario
La professione forense è di per sè compatibile con la funzione di giudice onorario (arg. ex art. 18 L. n. 247/2012), ma gli avvocati ed i praticanti ammessi al patrocinio non possono esercitare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel circondario del Tribunale presso il quale svolgono le funzioni di GOT, a pena di sanzione disciplinare (Cass. n. 13456/2017, CNF n. 240/2016)
In arg. cfr. pure l’art. 5 co. 2 D.Lgs. n. 116/2017.

Alla luce dell’art. 18 della L. n. 247/2012 la qualità di socio di un organismo di mediazione non è incompatibile con la professione di avvocato. Gli studi associati possono essere soci dell’organismo di mediazione (CNF parere n. 114/2016).

L’avvocato non può fare il mediatore immobiliare, neppure in via occasionale
L’attività di mediatore immobiliare è incompatibile con i doveri di indipendenza e decoro della professione forense, sicché comporta la cancellazione del professionista dall’albo se esercitata in modo continuativo, ovvero la comminazione di una sanzione disciplinare se esercitata in modo occasionale per violazione dell’art. 6 cdf (Nel caso di specie, il professionista aveva richiesto una provvigione al momento della stipula di un contratto preliminare, senza tuttavia compiere alcuna attività riconducibile alla consulenza legale. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione della censura). (CNF n. 112/2016).

Il giurista d’impresa
Ai sensi dell’art. 2 comma 6 della L. 247/2012 (che in parte qua deroga all’art. 18 comma unico lett. d) secondo cui ‘la professione di avvocato è incompatibile: con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato”), non è incompatibile con la professione di avvocato l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata, aventi ad oggetto la consulenza e l’assistenza legale stragiudiziale, nell’esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l’opera viene prestata. Infatti, la citata norma recepisce all’interno della disciplina delle professioni di avvocato la figura del “giurista d’impresa”, che pertanto non rientra nel regime delle incompatibilità di cui all’art. 18 della stessa legge (CNF parere n. 77/2016).
Tuttavia, il “giurista d’impresa” non può essere iscritto all’albo forense (e va tenuto distinto dall’“avvocato degli enti pubblici”). Infatti, i “giuristi d’impresa” possono svolgere attività professionale di consulenza e assistenza legale solo di tipo stragiudiziale e soltanto in favore del proprio datore di lavoro o del soggetto con il quale abbiano stipulato un contratto di prestazione d’opera continuativa e coordinata (art. 2, co. 6, L. n. 247/2012). Tale loro particolare status non ne consente l’iscrizione nell’albo degli avvocati, stante l’incompatibilità di cui all’art. 18, lett. d, L. n. 247/2012 (“la professione di avvocato è incompatibile […] con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato”), senza peraltro che ciò risulti discriminatorio rispetto al diverso trattamento riservato agli avvocati degli enti pubblici, appunto assoggettati alla speciale disciplina di cui all’art. 23 L. n. 247/2012 (CNF n. 161/2020, CNF parere n. 28/2017, CNF parere 11/2017).

Non si configura incompatibilità tra l’iscrizione all’albo forense e la prestazione di attività inerenti al funzionamento dell’impresa familiare (CNF parere n. 20/2013)

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