Titolo I – Principi generali (artt. 1 – 22)
1. La responsabilità disciplinare discende dalla inosservanza dei doveri e delle regole di condotta dettati dalla legge e dalla deontologia, nonché dalla coscienza e volontà delle azioni od omissioni.
2. L’avvocato, cui sia imputabile un comportamento non colposo che abbia violato la legge penale, è sottoposto a procedimento disciplinare, salva in questa sede ogni autonoma valutazione sul fatto commesso.
Normativa correlata:
- Art. 2, co. 4, L. n. 247/2012 (Disciplina della professione di avvocato)
- Art. 3, co. 3, L. n. 247/2012 (Doveri e deontologia)
- Art. 51, co. 1, L. n. 247/2012 (Procedimento disciplinare e notizia del fatto)
- Art. 54, co. 1, L. n. 247/2012 (Rapporto con il processo penale)
- Art. 20 cdf (Responsabilità disciplinare)
Normativa previgente:
- Art. 3 cod.prev. (Volontarietà dell’azione)
- Art. 5 cod.prev. (Doveri di probità, dignità e decoro)
- Art. 38, co. 1, R.D.L. n. 1578/1933
- Art. 44, co. 1 e 2, R.D.L. n. 1578/1933
Commento
Indice.
§ 1. Introduzione.
§ 2. L’elemento oggettivo dell’illecito.
§ 2.1. La violazione di una norma di legge.
§ 2.2. La violazione di una norma deontologica.
§ 3. L’elemento soggettivo dell’illecito.
§ 4. L’evento o danno.
§ 5. De jure condendo.
§ 5.1. Sulla rubrica.
§ 5.2. Sul primo comma.
§ 5.3. Sul secondo comma.
§ 1. Introduzione.
La norma in esame definisce, al comma 1, la struttura dell’illecito deontologico (di cui individua l’elemento oggettivo e quello soggettivo) e dispone, al comma 2, l’avvio necessario del procedimento disciplinare a carico dell’avvocato imputato di un reato doloso, pur nell’autonomia del giudizio deontologico rispetto alla legge penale (art. 54, co. 1, L. n. 247/2012).
§ 2. L’elemento oggettivo dell’illecito.
L’elemento oggettivo dell’illecito disciplinare consiste in una condotta, omissiva o commissiva, contraria ad un dovere o divieto, previsto da una norma di legge o deontologica. Tale principio, contenuto nel comma 1 dell’articolo in oggetto nonché ribadito nell’art. 20, co. 1, cdf (che, in parte qua, appare quindi ridondante), riproduce l’altrettanto duplice disposto normativo, secondo cui “l’avvocato, nell’esercizio della sua attività, è soggetto alla legge e alle regole deontologiche” (art. 2, co. 4, L. n. 247/2012) e “le infrazioni ai doveri e alle regole di condotta dettati dalla legge o dalla deontologia sono sottoposte al giudizio dei consigli distrettuali di disciplina” (art. 51, co. 1, L. n. 247/2012).
§ 2.1. La violazione di una norma di legge.
Il richiamo anche alla legge quale autonoma fonte di responsabilità disciplinare, che il codice eredita dall’Ordinamento professionale, non appare una scelta felice, per un duplice ordine di motivi. Da un lato, il riferimento è pleonastico: infatti, che anche l’avvocato sia sottoposto alla legge è un’ovvietà, che non sarebbe necessario precisare. Dall’altro lato, è un richiamo fuorviante: infatti, la violazione della legge, compresa quella penale, non comporta di per sé alcuna automatica responsabilità disciplinare, giacché il rilievo deontologico della condotta è, in tale sede, autonomamente valutato (art. 54, co. 1, L. n. 247/2012).
Infatti, fermo l’obbligo -meramente procedurale e senza automatismi sostanziali- di avviare il procedimento disciplinare nel caso di reati dolosi (art. 4, co. 2, cdf), la stessa sentenza irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare limitatamente all’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e della circostanza che l’imputato lo ha commesso (art. 653 c.p.p.), mentre rimane comunque riservata al giudice della deontologia la valutazione della rilevanza disciplinare della condotta stessa nello specifico ambito professionale1, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità2. Stesso principio vale altresì per le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (c.d “patteggiamento”), che in sede disciplinare sono equiparate a quelle di condanna3, giacché la legge delega n. 134/2017 (nella parte in cui prevede di “ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi”), ad oggi non è stata ancora attuata da parte del Governo, né ha immediata efficacia precettiva4.
Invece, per le pronunce penali diverse da quelle di condanna, occorre distinguere: quelle di assoluzione perché «il fatto non sussiste» o «l’imputato non lo ha commesso» rivestono l’efficacia di giudicato, preclusiva di un’autonoma valutazione degli stessi fatti da parte del giudice disciplinare, mentre non vincolano il giudice della deontologia né le diverse formule assolutorie perché «il fatto non costituisce reato o illecito penale», o perché il fatto «non è previsto dalla legge come reato»5, né quelle di prescrizione6, né quelle di archiviazione7. Allo stesso modo, e per le medesime ragioni, in mancanza di una previsione normativa espressa, sono irrilevanti in sede disciplinare la concessione di attenuanti della pena8 così come i benefici della riabilitazione, della non menzione e della sospensione della pena, nonché dell’amnistia, dell’indulto e del condono9, salvo che non sia espressamente previsto10.
In definitiva, per l’accennato principio dell’autonomia tra gli ordinamenti, il richiamo anche alla legge quale autonoma fonte di responsabilità deontologica appare superfluo (ed infatti tale riferimento mancava nell’art. 3 can. I cod.prev.11 ed è altresì omesso nell’art. 3, co. 3, L. n. 247/201212), giacché ai fini disciplinari è necessario e sufficiente fare riferimento al solo rilievo deontologico della condotta, che può infatti mancare ancorché il comportamento sia contrario alla legge (penale, civile, ecc.), così come può invece sussistere nel caso di comportamento lecito o irrilevante per il diritto13. Per le stesse ragioni, si è infatti ritenuto che la potenziale rilevanza deontologica di un contratto (ad es., un patto di quota lite) non è esclusa dalla nullità civilistica dello stesso (ad es., per mancanza della forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art. 2233 co. 3 c.c.), giacché in sede disciplinare si valuta il comportamento del professionista dal punto di vista deontologico e non l’efficacia e/o l’opponibilità dell’accordo inter partes14.
§ 2.2. La violazione di una norma deontologica.
Ai fini della responsabilità disciplinare occorre quindi avere esclusivo riguardo al rilievo deontologico della condotta e quindi, anzitutto, agli illeciti espressamente previsti dal codice, il quale:
- è un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si è dato per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa e si applica anche ai procedimenti già in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevole in concreto per l’incolpato (art. 65, co. 5, L. n. 247/2012)15;
- non è sindacabile dalla Corte di Cassazione, giacché la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare, definite dalla legge mediante una clausola generale (abusi o mancanze nell’esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale), è rimessa al giudice della deontologia, ed il controllo di legittimità è limitato ad una valutazione di ragionevolezza ex art. 360 c.p.c.16;
- non è sindacabile neppure dalla Corte Costituzionale, giacché costituisce fonte normativa in sé priva della forza di legge, ma integrativa del precetto legislativo (artt. 3 e 35, co. 1, lett. d nonché 65, co. 5, L. n. 247/2012), di cui è proiezione quale fonte secondaria di produzione giuridica, sicché non può esserne direttamente predicata l’illegittimità sul piano costituzionale, cioè senza passare attraverso la denuncia di illegittimità della norma di rinvio che ne fonda la precettività giuridica17.
Ovviamente, la responsabilità disciplinare può derivare anche da un illecito non espressamente previsto dal codice deontologico, trattandosi di tipicità degli illeciti solo tendenziale, giacché attuata “per quanto possibile” ex art. 3, co. 3, ult. periodo, L. n. 247/201218. Conseguentemente, il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, non trova qui applicazione, non essendo appunto prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa19. Infatti, le norme del codice deontologico sono ispirate a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività20, costituendo -come già l’art. 60 cod.prev.– esplicitazioni esemplificative dei doveri di lealtà, correttezza, probità, dignità e decoro, previsti in via generale dalla legge professionale e dallo stesso codice21, di talché la mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l’immunità, giacché è comunque possibile contestare l’illecito anche sulla base della norma di chiusura (o, per meglio dire, di apertura) di cui all’art. 3, co. 2, L. n. 247/2012, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”22.
Tuttavia, la seppur tendenziale tipicità dell’illecito dovrebbe altrettanto tendenzialmente comportare una -per quanto possibile- specificità dell’incolpazione23, sebbene la mancata o erronea indicazione di questa ovvero del “nomen juris” dell’incolpazione non possa costituire comunque motivo di nullità della decisione allorché sia comunque congruamente descritto il fatto cioè il comportamento addebitato24.
Con specifico riferimento al trattamento sanzionatorio degli illeciti atipici, si rinvia al commento dell’art. 20, co. 2, cdf (recentemente aggiunto dal Consiglio Nazionale Forense con propria delibera del 23 febbraio 2018 in G.U. 13 aprile 2018, n. 86 e in vigore il 12 giugno 2018).
§ 3. L’elemento soggettivo dell’illecito.
L’elemento soggettivo della responsabilità disciplinare consiste nella “coscienza e volontà” della condotta illecita, ossia nel dominio anche solo potenziale dell’azione o omissione, che possa essere impedita con uno sforzo del volere e sia quindi attribuibile alla volontà del soggetto25. Tale principio è solitamente riassunto dalla giurisprudenza domestica mediante il richiamo al concetto di suitas26, appunto intesa come possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo finalistico e, quindi, dominarlo27.
Conseguentemente, per l’imputabilità dell’infrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dell’illegittimità dell’azione od omissione, giacché la buona fede ovvero l’intensità del dolo e il grado della colpa rilevano esclusivamente per la determinazione della misura della sanzione ex art 21, co. 3, cdf28, così come parimenti irrilevante è la ritenuta sussistenza di una causa di giustificazione o non punibilità29.
Infatti, ai fini della responsabilità disciplinare, l’evitabilità della condotta delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto30, stabilendosi così una vera e propria presunzione di colpa31, superabile soltanto dimostrando l’errore inevitabile con l’uso della diligenza di chi ha (o dovrebbe avere) le necessarie conoscenze giuridiche32, il che sostanzialmente si risolve nella prova liberatoria del caso fortuito o della forza maggiore33 ovvero di una causa esterna che escluda l’attribuzione psichica della condotta al soggetto34.
In questi termini, la responsabilità disciplinare prescinde addirittura dall’elemento soggettivo35, in quanto presuppone esclusivamente la (prova della) condotta illecita, sia essa dell’incolpato o addirittura di terzi (ad es., suoi associati, collaboratori e sostituti ex art. 7 cdf), fatta salva -come detto- la prova liberatoria dell’inevitabilità della condotta stessa, ovvero del caso fortuito o forza maggiore: infatti, le norme del codice deontologico elencano i comportamenti che il professionista deve tenere nei rapporti con i colleghi, la parte assistita, la controparte, i magistrati e i terzi, e costituiscono esplicitazioni esemplificative dei doveri di lealtà, correttezza, probità, dignità e decoro, previsti in via generale dalla legge professionale e dallo stesso codice, sicché la loro inosservanza si traduce inevitabilmente nella violazione di tali doveri, la quale non richiede un autonomo accertamento, a meno che non sia contestata in relazione a comportamenti diversi da quelli specificamente riconducibili alle predette disposizioni36.
In ogni caso, l’inosservanza delle regole deontologiche è, per sua natura, analoga all’illecito penale, entrambe postulando, infatti, la trasgressione di precetti rivolti a persone imputabili: i comportamenti deontologicamente biasimevoli potranno essere compiuti con dolo o colpa, ma in ogni caso, per implicare responsabilità, devono poter essere riferiti alla coscienza ed alla volontà dell’incolpato, sicché il contegno del professionista può essere oggetto di valutazione disciplinare solo se sia imputabile, cioè proveniente da soggetto capace di intendere e di volere37.
§ 4. L’evento o danno.
L’evento non costituisce elemento essenziale della fattispecie, giacché la responsabilità disciplinare si configura indipendentemente dalla produzione e dall’entità di un danno38, posto che il fine della sanzione deontologica (e della sospensione cautelare) è quello di tutelare il pubblico interesse al corretto esercizio della professione e di salvaguardare il decoro e la dignità dell’intera classe forense39 per il solo compimento di una condotta astrattamente e potenzialmente idonea a ledere quei valori40, anche come illecito di mero pericolo41, oppure soltanto tentato42. In buona sostanza, l’assenza o il risarcimento di un danno derivante da una condotta deontologicamente rilevante non ne fa venir meno l’illiceità, ma può solo rilevare ai fini della commisurazione della relativa sanzione ex art. 21, co. 4, cdf43, pur a fronte di un’eventuale rinuncia all’esposto da parte del danneggiato risarcito44.
§ 5. De jure condendo.
Le criticità dell’art. 4 cdf riguardano anzitutto l’accennata ridondanza rispetto all’art. 20 cdf, nonché quelle indicate nei paragrafi successivi.
§ 5.1. Sulla rubrica.
Ancorché rubrica legis non est lex (quindi, oltre a non aver valore di legge, non rileva ai fini esegetici), quella dell’articolo 4 cdf -ossia “Volontarietà dell’azione”- suscita una duplice perplessità, per entrambi i suoi riferimenti: quello alla “volontarietà” e quello alla “azione”.
Per quanto riguarda il primo termine, il riferimento alla “volontarietà” sembra alludere alla sola intenzionalità della condotta cioè unicamente al dolo, così tralasciando di considerare la colpa, che invece è più che sufficiente a integrare, addirittura in via presunta, l’elemento soggettivo della responsabilità disciplinare.
Per quanto riguarda il secondo termine della rubrica (“dell’azione”), il riferimento sembra alludere esclusivamente alla “commissione”, tralasciando così la “omissione”, che invece avrebbe dovuto considerare.
De jure condendo, coerentemente con il suo contenuto e con lo scopo esplicativo seppur non vincolante che assolve per gli interpreti, la rubrica dell’articolo in esame dovrebbe preferibilmente essere “Illecito disciplinare”.
§ 5.2. Sul primo comma.
Con riferimento al primo comma, appare superfluo il riferimento alla violazione della legge, essendo (necessario e) sufficiente ai fini della responsabilità disciplinare, la violazione delle norme deontologiche, e ciò, per quanto detto a proposito del fatto che l’illecito disciplinare, da un lato, è più esteso di quello comune e, dall’altro, non consegue automaticamente da quest’ultimo, la cui valutazione rimane pertanto sempre soggetta alla disciplina deontologica (e alla sua tipicità meramente tendenziale), alla quale sola, quindi, è sufficiente fare riferimento. E, infatti, il riferimento alla “violazione della legge” mancava nel previgente art. 3 canone I e, altrettanto significativamente, il previgente art. 2 riconduceva le sanzioni disciplinari alla violazione delle sole “norme deontologiche”.
§ 5.3. Sul secondo comma.
Il secondo ed ultimo comma dell’art. 4 cdf sembra presentare i seguenti aspetti critici:
1) Appare impreciso nella parte in cui prende in considerazione la sola legge penale, giacché anche l’illecito civile, amministrativo, tributario, ecc. può avere rilievo disciplinare (ad es., l’omessa fatturazione o l’inadempimento di obbligazioni assunte nei confronti di terzi, peraltro anche nell’ambito della vita privata).
2) Appare altresì impreciso nella parte in cui sembra disporre una doverosità dell’azione disciplinare nel solo caso di illeciti penali dolosi, perché essa è invece doverosa sempre (art. 11 Reg. CNF n. 2/2014), cioè anche nel caso di illeciti colposi suscettibili di valutazione disciplinare.
3) Appare infine impreciso nella parte in cui si riferisce al solo fatto “commesso”, perché sembra implicitamente escludere l’omissione.

Note.
1Cass. n. 9547/2021, CNF n. 173/2022.
2CNF n. 1/2018, CNF n. 66/2016.
3Cass. n. 23836/2015, CNF n. 172/2022.
4CNF n. 56/2022.
5Cass. n. 12902/2021, CNF n. 58/2022.
6CNF n. 219/2021, CNF n. 8/2019.
7Cass. n. 24378/2020, CNF n. 117/2019.
8CNF n. 123/2021.
9Cass. n. 14039/2016, CNF n. 94/2020, CNF n. 162/2019, CNF n. 174/2018, CNF n. 113/2017, CNF n. 116/2016, CNF n. 186/2014, CNF n. 10/2014. Per una previsione normativa espressa in materia disciplinare, cfr. il D.Lgs. Pres. n. 10/1946 (Condono di sanzioni disciplinari, amministrative e di polizia), nonché il D.Lgs. n. 95/1948 (Condono di sanzioni disciplinari in occasione della nuova Costituzione dello Stato).
10È ad esempio il caso della L. n. 198/1986, con cui è stato concesso condono per le sanzioni inflitte in via definitiva non superiori alla sospensione, per infrazioni disciplinari commesse sino a tutto il 31 dicembre 1979 da esercenti attività professionali; inoltre, la stessa legge ha precisato che delle sanzioni condonate non deve rimanere traccia nel fascicolo personale degli interessati. In arg. cfr. CNF parere n. 49/2012.
11“La responsabilità disciplinare discende dalla inosservanza dei doveri e dalla volontarietà della condotta, anche se omissiva.”
12“L’avvocato esercita la professione uniformandosi ai principi contenuti nel codice deontologico emanato dal CNF”.
13Cass. n. 11168/2022, CNF n. 133/2022, CNF parere n. 16/2018.
14CNF n. 206/2022.
15Cass. n. 13168/2021.
16Cass. n. 34206/2022, Cass. n. 41990/2021, Cass. n. 31108/2017.
17Cass. n. 11675/2022, Cass. n. 7501/2022, Cass. n. 20383/2021, Cass. n. 31227/2017. In arg. si segnala TAR Lazio n. 338/2023 (secondo cui le norme deontologiche sarebbero atti di natura non normativo né provvedimentale, equiparabili alle circolari e/o alle linee guida), nonché TAR Lazio n. 8858/2012 (che ha annullato il comma 1 del previgente art. 55 bis cdf).
18Cass. n. 34206/2022, CNF n. 172/2022.
19Cass. n. 37550/2021, Cass. n. 30993/2017, Cass. n. 17720/2017, CNF n. 156/2022.
20Cass. n. 8313/2019.
21Cass. n. 13167/2021.
22Cass. n. 11675/2022, Cass. n. 7073/2022, Cass. n. 8777/2021, Cass. n. 8038/2018, Cass. n. 17534/2018, Cass. n. 31227/2017, n. Cass. n. 17115/2017, CNF n. 128/2022, CNF 127/2022, CNF n. 105/2022, CNF n. 104/2022, CNF n. 268/2021.
23Attualmente, si ritiene invece che non sia necessario indicare, nell’incolpazione, le norme deontologiche violate: Cass. n. 13168/2021, CNF n. 34/2022, CNF n. 68/2012.
24Cass. n. 20383/2021, Cass. n. 7530/2020, Cass. n. 1609/2020, Cass. n. 11933/2019, Cass. n. 8313/2019, Cass. n. 15852/2009, CNF n. 129/2020, CNF n. 135/2014, CNF n. 55/2013, CNF n. 214/2012, CNF n. 116/2000.
25Cass. n. 18460/2018, Cass. n. 22521/2016, CNF n. 5/2022, CNF n. 176/2021, CNF n. 97/2021, CNF n. 202/2020, CNF n. 1/2019, CNF n. 38/2018, CNF n. 1/2018, CNF n. 181/2017.
26CNF n. 174/2022, CNF n. 167/2022, CNF n. 105/2022, CNF n. 97/2022, CNF n. 90/2022, CNF n. 88/2022, CNF n. 79/2022, CNF n. 60/2022, CNF n. 30/2022, CNF n. 27/2022, CNF n. 2/2022 e numerose altre conformi.
27Per tutte, CNF n. 172/2022.
28Per tutte, CNF n. 168/2022.
29Cass. n. 11370/2016, CNF n. 147/2022.
30CNF n. 167/2022.
31Cass. n. 18460/2018, Cass. n. 22521/2016, CNF n. 5/2022, CNF n. 176/2021.
32Cass. n. 18460/2018, CNF n. 5/2022.
33CNF n. 38/2018, CNF n. 214/2014.
34Cass. n. 8242/2020, CNF n. 61/2012.
35CNF n. 39/2013, n. 66/2011, CNF n. 155/2010.
36Cass. n. 13167/2021.
37CNF n. 128/2013, CNF n. 188/2000, CNF n. 110/1993.
38CNF n. 142/2021, CNF n. 139/2021.
39CNF n. 53/2022, CNF n. 26/2014.
40Cass. n. 17720/2017, CNF n. 147/2022.
41CNF n. 174/2022, CNF n. 167/2022.
42Cass. n. 8038/2018, Cass. n. 17720/2017, Cass. n. 27996/2013, Cass. n. 10601/2005, CNF n. 180/2021, CNF n. 217/2020, CNF n. 29/2016.
43CNF n. 139/2021, CNF n. 132/2021.
44CNF n. 174/2022, CNF n. 102/2022.