Avvertenza.
Per ragioni sistematiche, in tale sede viene trattato anche il comma 3 dell’art. 1 cdf (“Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela dell’affidamento della collettività e della clientela, della correttezza dei comportamenti, della qualità ed efficacia della prestazione professionale.“).
Il potere del CNF di emanare norme deontologiche
Le deliberazioni con le quali il Consiglio nazionale forense procede alla determinazione dei principi di deontologia professionale e delle ipotesi di violazione degli stessi costituiscono legittima fonte secondaria di produzione giuridica (art. 3 L. n. 247/2012), sicché va in proposito esclusa qualsiasi lesione del principio di legalità, anche perché le tipologie delle pene disciplinari e l’entità delle stesse tra un minimo ed un massimo ove graduabili, sono prestabilite dalla normativa statuale (Cass. n. 17115/2017).
La primaria funzione delle norme deontologiche
In considerazione del rilievo pubblicistico della professione forense, le norme deontologiche non costituiscono uno strumento di tutela privilegiata a favore dell’avvocato, ma sono invece essenzialmente dirette a garantire alla parte assistita anche la correttezza nella gestione del rapporto professionale (CNF n. 29/2014).
La natura giuridica delle norme del codice deontologico
Le norme del codice deontologico sono ispirate a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività (Cass. n. 8313/2019), costituendo -come già l’art. 60 cod.prev.– esplicitazioni esemplificative dei doveri di lealtà, correttezza, probità, dignità e decoro, previsti in via generale dalla legge professionale e dallo stesso codice (Cass. n. 13167/2021).
In particolare, le previsioni del codice deontologico forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo. Esse hanno dunque, per un verso, natura normativa (si consideri che dopo l’emanazione da parte del CNF, il codice disciplinare viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale), per l’altro la loro precettività non è autosufficiente, in quanto è proiezione della norma legislativa che ne costituisce la fonte (art. 3 L. n. 247/2012 e art. 35 co. 1 lett. d L. n. 247/2012 nonché art. 65 co. 5 L. n. 247/2012) (Cass. n. 20383/2021, Cass. n. 7530/2020, Cass. n. 8313/2019).
Conseguentemente, assunta in modo solipsistico, la disposizione del codice deontologico costituisce atto privo della forza di legge, derivando tale forza solo all’integrazione del precetto legislativo, sicché:
– sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità: in particolare, esse costituiscono il parametro normativo dell’incolpazione disciplinare per cui compete alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nell’ambito del sindacato sulla violazione di legge, controllare se nel caso concreto sussista o non la violazione del detto parametro (Cass. n. 7501/2022, Cass. n. 11168/2022, Cass. n. 9032/2014)
– la violazione di tali regole non è ex se deducibile in sede di legittimità ma solo in rapporto alle norme della Legge professionale di cui fossero proiezione (Cass. n. 11675/2022)
– non ne può essere direttamente predicata l’illegittimità sul piano costituzionale, cioè senza passare attraverso la denuncia di illegittimità della norma di rinvio che ne fonda la precettività giuridica (Cass. n. 7501/2022, Cass. n. 31227/2017).
Contra, Il codice deontologico forense non ha carattere normativo, essendo costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa, con la conseguenza che la violazione del codice rileva in sede giurisdizionale solo quando si colleghi all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge, cioè a una delle ragioni per le quali l’art. 36 della l. n. 247 del 2012 consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, per censurare unicamente un uso del potere disciplinare da parte degli ordini professionali per fini diversi da quelli per cui la legge lo riconosce (Cass. n. 20877/2024, Cass. n. 19103/2023, Cass. n. 13168/2021, Cass. n. 14746/2014).
In arg. si segnala TAR Lazio n. 338/2023 (secondo cui le norme deontologiche sarebbero atti di natura non normativo né provvedimentale, equiparabili alle circolari e/o alle linee guida), nonché TAR Lazio n. 8858/2012 (che ha annullato il comma 1 dell’art. 55 bis cod.prev.).
La (potenziale) rilevanza deontologica della vita privata del professionista
La potenziale rilevanza deontologica della vita privata dell’avvocato è prevista nell’art. 2 co. 1 cdf (“Le norme deontologiche […] si applicano anche ai comportamenti nella vita privata”), nell’art. 9 co. 2 cdf (“anche al di fuori dell’attività professionale”), nell’art. 63 co. 1 cdf (“anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero”) e nell’art. 64 co. 2 cdf (“inadempimento ad obbligazioni estranee all’esercizio della professione”).
Deve ritenersi disciplinarmente responsabile l’avvocato per le condotte che, pur non riguardando strictu sensu l’esercizio della professione, ledano comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro e, riflettendosi negativamente sull’attività professionale, compromettono l’immagine dell’avvocatura quale entità astratta con contestuale perdita di credibilità della categoria. La violazione deontologica, peraltro, sussiste anche a prescindere dalla notorietà dei fatti, poiché in ogni caso l’immagine dell’avvocato risulta compromessa agli occhi di terzi e degli operatori del diritto (CNF n. 331/2023, CNF n. 312/2023, CNF n. 301/2023, CNF n. 24/2023, CNF n. 21/2023, CNF n. 2/2023, CNF n. 175/2022, CNF n. 156/2022, CNF n. 149/2022, CNF n. 128/2022, CNF n. 112/2022, CNF n. 80/2022, CNF n. 58/2022, CNF n. 56/2022, CNF n. 45/2022, CNF n. 30/2022, Cass. n. 20383/2021, CNF n. 168/2021, CNF n. 166/2021, CNF n. 164/2020, CNF n. 164/2020, CNF n. 141/2020, CNF n. 81/2020, CNF n. 52/2020).
Peraltro, la vita privata del professionista può assumere rilievo deontologico, anche in sede cautelare (CNF n. 65/2020).
Infine, La rilevanza deontologica della vita privata non contrasta con l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) inibisce indebite intrusioni e aggressioni alla sfera privata e familiare delle persone, ma lascia integro il potere-dovere delle autorità competenti di valutare e, occorrendo, di sanzionare i comportamenti che si pongano in contrasto con i rispettivi ordinamenti (Cass. n. 23020/2011).
La responsabilità disciplinare dei praticanti avvocati
L’art. 2 co. 2 cdf riproduce pressoché testualmente l’art. 42 co. 1 L. n. 247/2012, ma emendato dal refuso che assoggetta (erroneamente) i praticanti al potere disciplinare del COA anziché del CDD (a quest’ultimo proposito, cfr. questo commento).
Infatti, destinatari delle norme deontologiche non sono solo gli avvocati ma anche i praticanti, ex art. 42 L. n. 247/2012 e art. 57 RD n. 37/1934, a nulla rilevando che i medesimi svolgano o meno il patrocinio e non siano iscritti all’albo ma nel registro speciale dei praticanti; il loro status, infatti, si presenta preliminare a quello dell’avvocato e pertanto sono anch’essi assoggettabili alle norme deontologiche e al potere disciplinare del Consiglio territoriale (CNF n. 193/2019, CNF n. 93/2019, CNF n. 115/2012, CNF n. 100/2007, CNF n. 103/2005, CNF n. 44/2005, CNF n. 189/2002).