Il comma 1 dell’art. 20 cdf ribadisce le fonti della responsabilità disciplinare, che individua nella violazione della legge e della deontologia, come già aveva fatto l’art. 4 cdf con riferimento all’elemento oggettivo dell’illecito, al cui commento pertanto si rinvia.
Il comma 2 dell’art. 20 cdf prevede espressamente una responsabilità disciplinare anche per le condotte non tipizzate ai titoli II, III, IV, V e VI del codice1, all’uopo chiarendone il relativo trattamento sanzionatorio, a seconda che si tratti o meno di fattispecie espressamente previste dal codice: nel caso di illecito tipico, la sanzione applicabile è quella indicata dalla stessa norma deontologica incriminatrice, mentre negli altri casi spetta al giudicante determinare la sanzione da irrogarsi in concreto tenendo conto del grado di offensività della condotta illecita (CNF n. 141/2024) e da scegliersi tra una di quelle tipizzate dall’Ordinamento professionale (artt. 52 e 53 L. n. 247/2012) e dallo stesso codice in via generale (art. 22 cdf), ivi compresa la radiazione (CNF n. 65/2021).
In particolare, nel caso di illecito deontologico a forma libera o atipico, la sanzione disciplinare è determinata, secondo gli ordinari criteri di valutazione deontologica della condotta (art. 21 cdf), avendo riguardo “ai principi generali ed al tipo di sanzione applicabile in ipotesi che presentino, seppur parzialmente, analogie con il caso specifico”2. Infatti, il metodo più adeguato, ragionevole e prudente con cui procedere per determinare la sanzione applicabile in concreto appare quello di individuare norme deontologiche tipiche volte alla tutela di interessi e di valori almeno simili a quelli che la violazione in contestazione abbia pregiudicato e, quindi, a commisurare la sanzione da applicare nel caso oggetto di giudizio alle previsioni sanzionatorie previste nelle norme tipizzate così individuate (CNF n. 66/2024).
In ogni caso, la rilevanza deontologica di un comportamento prescinde dalla sua eventuale liceità secondo l’ordinamento civile, penale, amministrativo, ecc.
Infatti, con il procedimento disciplinare forense si persegue lo scopo di tutelare l’immagine, la dignità e il decoro della professione, accertando gli eventuali illeciti deontologici commessi dall’avvocato e irrogando le sanzioni previste. Conseguentemente, la rilevanza deontologica di un comportamento ben può sussistere pur non costituendo illecito secondo l’ordinamento civile, penale, amministrativo, ecc., giacché le ragioni e i principi che presiedono al procedimento disciplinare hanno ontologia diversa rispetto a quelli che attengono al governo dei diritti soggettivi, riguardando la condotta del professionista quale delineata attraverso l’elaborazione del codice deontologico forense e quale risultante dal dovere di correttezza e lealtà che deve informare il comportamento dello stesso; diversi sono i presupposti e le finalità che sottendono all’esercizio disciplinare e che con il provvedimento amministrativo si perseguono; diversa è l’esigenza di moralità che è tutelata nell’ambito professionale. L’illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista deve, infatti, essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, a nulla rilevando anche l’eventualità che tali comportamenti non siano configurabili anche come illeciti secondo le disposizioni del residuo ordinamento (Cass. n. 25440/2023, CNF n. 121/2023, CNF n. 86/2023, Cass. n. 11168/2022, CNF n. 189/2022, CNF n. 133/2022, CNF n. 104/2022, CNF n. 1/2022, CNF n. 268/2021, CNF n. 160/2021, CNF n. 139/2021, CNF n. 72/2020).
Note.
- Sul principio di tipicità soltanto tendenziale dell’illecito deontologico, v. art. 9 cdf che trova il proprio fondamento normativo nell’art. 3, co. 3, L. n. 247/2012. ↩︎
- CNF n. 168/2021, CNF n. 47/2020, CNF n. 171/2019, CNF n. 110/2019, CNF n. 87/2019, CNF n. 83/2019, CNF n. 79/2019, CNF n. 69/2019, CNF n. 60/2019, CNF n. 91/2017, CNF n. 180/2016, CNF n. 185/2015, CNF n. 150/2015, CNF n. 137/2015, CNF n. 112/2015. ↩︎