Codice deontologico ➡️ Titolo II – Rapporti con il cliente e la parte assistita (artt. 23 – 37) ➡️ Art. 35
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Praticanti

Praticanti avvocati: vietato usare la dicitura “studio legale” nella propria carta intestata
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il praticante che utilizzi biglietti da visita e carta intestata ivi indicando la dicitura del proprio “studio legale”, così ingenerando nei terzi il convincimento di potersi riferire ad un soggetto abilitato ad esercitare la professione forense ed inducendo pertanto in errore i clienti sui titoli del professionista (CNF n. 90/2022, CNF n. 115/2007, CNF n. 41/2011, CNF n. 86/2011).

Sigla “p. Avv.”: vietato l’uso di abbreviazioni equivoche che ingenerino confusione sul titolo professionale posseduto
Integra illecito disciplinare la condotta del praticante avvocato che, anche nella propria corrispondenza, si limiti ad aggiungere l’iniziale “p.” alla parola “avvocato” (“p. Avv.”), trattandosi di informazione equivoca e comunque decettiva cioè idonea a trarre in inganno o in ogni caso a fondare false aspettative, quindi non veritiera e non corretta (CNF n. 90/2022, CNF n. 104/2018, CNF n. 115/2014, CNF n. 41/2014).

Sospensione disciplinare per l’avvocato che “pubblicizzi” il proprio studio legale con la propaganda “paghi solo in caso di vittoria”
Costituisce illecito deontologico il comportamento dell’avvocato che, al fine di acquisire potenziali clienti, “pubblicizzi” il proprio studio legale con la propaganda, peraltro mendace, “paghi solo in caso di vittoria” (CNF n. 62/2022).

La “pubblicità” professionale non può fare leva sui prezzi, specie se troppo bassi
La pubblicità mediante la quale il professionista con il fine di condizionare la scelta dei potenziali clienti, e senza adeguati requisiti informativi, offra prestazioni professionali, viola le prescrizioni normative, nel momento in cui il messaggio è redatto con modalità attrattive della clientela operate con mezzi suggestivi ed incompatibili con la dignità e con il decoro, quale l’uso del termine “gratuito” (CNF n. 75/2021, CNF n. 118/2015, CNF n. 34/2012).

La “pubblicità” professionale non deve essere comparativa né autocelebrativa
L’informazione sull’attività professionale, ai sensi degli artt. 17 e 35 codice deontologico, deve essere rispettosa della dignità e del decoro professionale e quindi di tipo semplicemente conoscitivo, potendo il professionista provvedere alla sola indicazione delle attività prevalenti o del proprio curriculum, ma non deve essere mai né comparativa né autocelebrativa (CNF n. 75/2021, CNF n. 23/2019, CNF n. 49/2017, CNF n. 8/2017, CNF n. 163/2015, CNF n. 194/2014, CNF n. 152/2012).

Per fregiarsi del titolo di “professore” non basta un qualsivoglia incarico di insegnamento
L’attività di insegnamento (nella specie, in corsi di formazione professionale) non legittima l’uso del titolo di professore, riservato ai docenti universitari in materie giuridiche (con l’obbligo di specificare la qualifica, la materia di insegnamento e la facoltà di appartenenza), dovendo altrimenti ritenersi violati gli artt. 17 e 35 (informazioni sull’attività professionale) nonché 36 (uso di titoli inesistenti) del codice deontologico, stante l’evidente intento confusorio e captatorio, da ritenersi in re ipsa (CNF n. 136/2020, CNF n. 122/2020).

I limiti deontologici alle informazioni sull’attività professionale
Il codice deontologico, anche a seguito della entrata in vigore delle norme che prevedono la possibilità di dare informazioni sull’attività professionale, non consente una pubblicità indiscriminata ed elogiativa, intrinsecamente comparativa in quanto diretta a porre in evidenza caratteri di primazia in seno alla categoria, perché incompatibile con la dignità e il decoro della professione e, soprattutto, a tutela dell’affidamento della collettività (CNF n. 136/2019, CNF n. 208/2017).

I limiti deontologici alla pubblicità professionale (dopo il c.d. Decreto Bersani)
In considerazione della forte valenza pubblicistica dell’attività forense, il rapporto tra cliente e avvocato non è soltanto un rapporto privato di carattere libero-professionale e non può perciò essere ricondotto puramente e semplicemente ad una logica di mercato, sicché anche a seguito del c.d. Decreto Bersani (D.L. n. 223/2006, convertito con L. n. 248/2006) che ha abrogato le disposizioni che non consentivano la pubblicità informativa relativamente alle attività professionali, permangono le regole deontologiche connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall’Ordinamento affidata al potere–dovere dell’ordine professionale (CNF n. 23/2019, Cass. n. 9561/2017, CNF n. 246/2017, CNF n. 245/2017, CNF n. 244/2017, CNF n. 208/2017, CNF n. 8/2017, CNF n. 391/2016, CNF n. 349/2016, CNF n. 55/2016, CNF n. 29/2016, CNF n. 163/2015, CNF n. 118/2015, CNF n. 26/2015, CNF n. 13/2015, CNF n. 40/2013, CNF n. 37/2013, CNF n. 204/2012, CNF n. 170/2012, CNF n. 152/2012, CNF n. 39/2012).
Conseguentemente, è da ritenersi deontologicamente vietata una pubblicità professionale:
– comparativa ed elogiativa (CNF n. 23/2019, CNF n. 142/2015, CNF n. 183/2009)
– che offra servizi professionali a costi molto bassi ovvero determinati forfettariamente senza alcuna proporzione all’attività svolta, a prescindere dalla corrispondenza o meno alle indicazioni tariffarie (CNF n. 142/2015, CNF n. 183/2009)
– che indichi il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano (Cass. n. 9861/2017, CNF n. 55/2016, CNF n. 39/2012), peraltro, tale divieto non può essere aggirato riproducendo -in modo enfatico, autocelebrativo e promozionale- articoli di stampa che diano quell’informazione (CNF n. 294/2024, CNF n. 126/2005).

“Pubblicità” professionale: l’evoluzione normativa impone una nuova sensibilità nella valutazione delle condotte deontologicamente rilevanti
A seguito dell’evoluzione normativa “liberalizzatrice” (iniziata con il D.L. n. 248/2006, proseguita con l’art. 10 L. n. 247/2012 e culminata con l’art. 35 del Nuovo Codice Deontologico), l’avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale “con qualunque mezzo”, nel rispetto dei limiti della trasparenza, verità, correttezza e purché l’informazione stessa non sia comparativa, ingannevole, denigratoria o suggestiva. Conseguentemente, non può (più) considerarsi contrario al decoro ed alla correttezza un messaggio pubblicitario, che contenga tutti gli elementi richiesti dalla predetta disciplina deontologica, sol perché enfatizzi il corrispettivo -se congruo e proporzionato-, il quale infatti costituisce un elemento contrattuale di interesse primario per il cliente e, quindi, un elemento fondamentale per un’informazione pubblicitaria professionale corretta e completa (Nel caso di specie, l’incolpato era stato sanzionato dal consiglio territoriale di appartenenza per aver offerto tramite internet “separazioni e divorzi contrattuali con accordo già raggiunto da euro 800,00”. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha annullato la sanzione). (CNF n. 243/2017).

Informazione professionale: vietato recapitare brochure pubblicitarie al domicilio dei destinatari potenziali clienti
La pubblicità informativa deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica manifestazione dell’avvocato ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clientela reale o potenziale (Nel caso di specie, il professionista aveva pubblicizzato il proprio studio con offerta di prestazioni professionali, mediante volantini distribuiti in un condominio composto da circa cento unità). (CNF n. 203/2017)

Informazione professionale: illecito millantare una rete di collaboratori (ignari)
Integra violazione dell’art. 35 cdf il comportamento dell’avvocato che, nell’informazione sulla propria attività professionale, dichiari di avvalersi dell’ausilio di prestigiosi Colleghi, all’insaputa degli stessi (Nel caso di specie, gli asseriti collaboratori erano “altamente specializzati nei vari rami del diritto e domiciliati nell’intero arco del territorio italiano”). (CNF n. 349/2016).

L’informazione sull’esercizio dell’attività professionale deve essere la più chiara possibile
La tutela dei soggetti a cui si rivolgono le informazioni sull’esercizio dell’attività professionale impone la maggior chiarezza possibile (seppur mediante l’uso di formule succinte), ma l’eventuale genericità dell’indicazione non può da sola comportare un giudizio di responsabilità disciplinare, specie qualora emergano indizi sulla buona fede dell’incolpato (CNF n. 30/2016).

L’informazione sull’attività professionale non vìola di per sè i dettami deontologici sol perché utilizzi come strumento di diffusione la superficie di un automezzo come ad esempio un pulmino o autobus (CNF parere n. 12/2014) ovvero un cartellone o striscione pubblicitario di notevoli dimensioni all’interno di uno stadio o altro campo da gioco (CNF parere n. 5/2015).

Studio legale “militare”: vietato ingenerare confusione tra le “materie di attività prevalente” e le “specializzazioni professionali”
L’avvocato può indicare i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente, ma l’affermazione di una propria “specializzazione” presuppone l’ottenimento del relativo diploma conseguito presso un istituto universitario (Nel caso di specie, il professionista aveva indicato nella propria carta intestata la dicitura “Studio legale militare”, senza tuttavia aver conseguito la relativa specializzazione ma esclusivamente in ragione del fatto che l’incolpato stesso si occupava, a suo dire, di tale branca del diritto) (CNF n. 90/2022).

Sospensione per l’avvocato che “pubblicizzi” il proprio studio legale denigrando la categoria dei medici
Costituisce illecito deontologico il comportamento dell’avvocato che, al fine di acquisire potenziali clienti, “pubblicizzi” il proprio studio legale mediante l’immagine, pubblicata nei social media nonché all’esterno dei principali ospedali della città, raffigurante un medico ammanettato a corredo dell’offerta di prestazioni legali a tutela dell’ammalato, in quanto comportamento contrario ai principi generali di correttezza, probità, dignità, decoro (art. 9 c.d.f.), nonchè al dovere di fornire un’informazione corretta, non denigratoria, né suggestiva (artt. 17 co 2 e 35 co 2 c.d.f.). (CNF n. 65/2022).

L’informazione circa il possesso della qualifica di mediatore abilitato ai sensi del D. Lgs. n. 28/2010 non confligge, di per sé, con l’art. 17 cdf (nella parte in cui si riferisce alle specializzazioni), a condizione che detta qualifica venga indicata nei termini seguenti: “mediatore abilitato ai sensi del D. Lgs. n. 28/2010”. (CNF parere n. 73/2016).

Avvocato che sia anche Giudice di Pace: vietato specificarlo nella carta intestata dello studio legale
Il possesso del titolo di giudice onorario non è compreso tra i dati che l’art. 17, comma secondo, lettera a), del codice deontologico forense consente all’avvocato d’inserire nella carta intestata utilizzata per lo svolgimento dell’attività professionale, trattandosi di un’informazione che non attiene alla professione di avvocato, ma all’esercizio di un’attività profondamente diversa, tanto da risultare incompatibile nel medesimo ambito territoriale. Tale notizia, riguardando l’appartenenza – sia pure temporanea – ad un ordine che ha un ruolo e compiti istituzionali sicuramente diversi rispetto a quelli che svolge l’avvocatura, ed aggiungendo un “quid pluris” alla posizione di chi la comunica, costituisce illecito disciplinare, in quanto contrasta con la “ratio” della norma citata, volta ad evitare che informazioni non attinenti alla professione di avvocato possano alterare i limiti di una concorrenza che deve svolgersi secondo regole ben precise, poste a garanzia della “par condicio” tra i professionisti (CNF n. 242/2007, Cass. n. 486/2006, CNF n. 55/2005).

La duplice ratio del divieto di divulgare il nominativo di clienti e parti assistite
L’art. 35 co. 8 cdf (secondo cui “Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano”) -che costituisce applicazione dell’art. 10 L. n. 247/2012 (“Informazioni sull’esercizio della professione”), dell’art. 17 cdf (“Informazione sull’esercizio dell’attività professionale”), dell’art. 28 cdf (“Riserbo e segreto professionale”) e dell’art. 37 cdf (“Divieto di accaparramento”)- ha una duplice ratio: da un lato, impedire una diffusione che potrebbe riguardare non solo i nominativi dei clienti stessi ma anche la particolare attività svolta nel loro interesse con interazioni di terzi, prestandosi ad interferenze, condizionamenti e strumentalizzazioni; dall’altro, tutelare l’autonomia del professionista in stretta correlazione con la dignità ed il decoro della professione, come risulta dalla irrilevanza del consenso delle parti alla divulgazione (CNF n. 294/2024).

Il divieto di divulgare il nominativo di clienti e parti assistite non può essere aggirato riproducendo -in modo enfatico, autocelebrativo e promozionale- articoli di stampa che diano quell’informazione
Nelle informazioni al pubblico, l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano, ex art. 35 co. 8 cdf. Tale divieto, peraltro, sussiste anche qualora il nominativo del cliente dello Studio sia già di dominio pubblico, né può essere aggirato con l’escamotage di riprodurre -in modo enfatico, autocelebrativo e promozionale- l’informazione stessa già eventualmente data da media e terzi in genere, ovvero soggetti non tenuti al rispetto delle norme deontologiche forensi, che altrimenti verrebbero inaccettabilmente eluse (Nel caso di specie, l’avvocato aveva riprodotto a fini promozionali sul proprio sito internet e relativa newsletter la notizia di stampa che riferiva l’assistenza legale prestata dall’incolpato stesso in una complessa acquisizione societaria, con dettagli anche sui nominativi delle parti) (CNF n. 294/2024, CNF n. 126/2005).

Sul divieto deontologico di divulgare il nominativo di clienti e parti assistite
In considerazione della forte valenza pubblicistica dell’attività forense, il rapporto tra cliente e avvocato non è soltanto un rapporto privato di carattere libero-professionale e non può perciò essere ricondotto puramente e semplicemente ad una logica di mercato, sicché anche a seguito del c.d. Decreto Bersani (D.L. n. 223/2006, convertito con L. n. 248/2006) che ha abrogato le disposizioni che non consentivano la pubblicità informativa relativamente alle attività professionali, permane il divieto, nelle informazioni al pubblico, di indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano (art. 35 co. 8 cdf), giacché lo studio professionale deve garantire la riservatezza del cliente, quale esplicazione del decoro e della dignità che la funzione sociale della professione impone (CNF n. 294/2024, Cass. n. 9861/2017, CNF n. 55/2016, CNF n. 39/2012).

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