Codice deontologico ➡️ Titolo IV – Doveri dell’avvocato nel processo (artt. 46 – 62) ➡️ Art. 50
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L’introduzione in giudizio di prove false
Fondamentale dovere dell’avvocato è quello di contribuire all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia. E’ pertanto connotata da estrema gravità la responsabilità disciplinare dell’avvocato che formi e quindi introduca una prova falsa nel processo (CNF n. 241/2017, CNF n. 268/2015, CNF n. 87/2013, CNF n. 35/2012).

L’introduzione in giudizio di prove false: l’illecito non è escluso dalla rinuncia alla prova stessa
Contravviene ai doveri di lealtà, correttezza e verità (artt. 9, 19 e 50 cdf) l’avvocato che introduca intenzionalmente nel processo prove false, a nulla rilevando, in ordine alla già avvenuta commissione dell’illecito, la rinuncia ad avvalersi delle prove stesse e la loro asserita superfluità probatoria (CNF n. 250/2022, CNF n. 89/2017, CNF n. 87/2013).

La violazione del dovere di verità ha rilievo deontologico anche quando non influisce sul convincimento del Giudice
La violazione di cui all’art. 50 cdf sussiste anche allorché l’allegazione della circostanza inveritiera non abbia avuto rilievo nello svolgimento del processo o non abbia influito sulla decisione del Giudice (CNF n. 184/2020).

Il dovere di verità dell’avvocato sussiste anche fuori dal processo
Stante la c.d. “tendenziale” tipicità dell’illecito deontologico, l’art. 50 cdf (che disciplina il dovere di verità dell’avvocato nel processo stabilendo il divieto di ivi introdurre elementi di prova o documenti che egli sappia essere falsi) può costituire valido criterio e quindi parametro per la repressione di illeciti disciplinari atipici aventi analoghe caratteristiche, come nel caso in cui i falsi riguardino atti e documenti estranei al processo, e ciò alla luce dei principi generali di cui agli artt. 1 co. 3, 9 e 11 cdf, i quali evocano la funzione sociale, nonché i doveri di lealtà, probità, correttezza e decoro dell’avvocato (CNF n. 127/2024, CNF n. 9/2019).

Il dovere di verità e lealtà dell’avvocato, fuori e dentro il processo
Laddove l’avvocato si trovi nella condizione di non poter seguire allo stesso tempo verità e mandato, leggi e cliente, la sua scelta deve privilegiare il più alto e pregnante dovere radicato sulla dignità professionale, ossia l’ossequio alla verità ed alle leggi spinto fino all’epilogo della rinunzia al mandato in virtù di un tale giusto motivo, astenendosi dal porre in essere attività che siano in contrasto con il prevalente dovere di rispetto della legge e della verità ex art. 50 cdf, che ispira la funzione difensiva in coerenza con il dovere di lealtà espressamente previsto dall’art. 3 L. n. 247/2012 con riferimento alla professione forense in generale, nonché dall’art. 88 cpc con specifico riguardo al processo (Cass. n. 41990/2021, CNF n. 61/2021, CNF n. 142/2018, CNF n. 103/2010).

Dovere di verità: la necessaria indicazione dei provvedimenti, anche di rigetto, già ottenuti
Costituisce violazione dell’art. 50, co. 6, cdf il comportamento dell’avvocato che, nella presentazione di istanze o richieste riguardanti uno stesso fatto, ometta di indicare i provvedimenti già ottenuti, compresi quelli di rigetto (CNF n. 303/2023).

Il deposito in giudizio di atto falsificato costituisce illecito permanente
Ai fini dell’individuazione del dies a quo della prescrizione dell’azione disciplinare, il deposito in giudizio di un atto falsificato costituisce un illecito di carattere permanente (CNF n. 250/2022, Cass. n. 24378/2020, CNF n. 142/2019).

L’avvocato che tace l’evento interruttivo del processo morte/estinzione del soggetto rappresentato non vìola il dovere di verità
Il dovere di verità di cui all’art. 50 cdf, ancorché idoneo ad assumere rilievo processuale attraverso i filtri degli artt. 88 e 96 cpc, non impone all’avvocato di comunicare al giudice e alla controparte la vicenda estintiva della parte rappresentata, giacché la legge processuale gli consente di manifestare discrezionalmente quest’informazione, sia pur previa intesa con il successore del soggetto estinto. Peraltro, in tal caso il difensore non rende alcuna falsa dichiarazione (che è la condotta sanzionata dalla predetta norma deontologica), ma semmai tace un’informazione, avvalendosi però del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge di rilasciare una dichiarazione, che non è di pura scienza, ad effetti processuali per la migliore e più efficace tutela della parte assistita (Cass. n. 29812/2024).

Sul dovere di verità dell’avvocato
Le dichiarazioni in giudizio relative all’esistenza di fatti o inesistenza di fatti obiettivi, che siano presupposto specifico per un provvedimento del magistrato e di cui l’avvocato abbia diretta conoscenza, devono essere vere e comunque tali da non indurre il giudice in errore (art. 50 cdf). Pertanto, commette illecito disciplinare l’avvocato che:
– richieda alla Cancelleria il certificato di irrevocabilità della sentenza pur nella consapevolezza che la sentenza stessa non sia in realtà passata in giudicato (CNF n. 103/2021)
– richieda alla Cancelleria il certificato di definitività del decreto ingiuntivo, pur essendo a conoscenza dell’intervenuta opposizione (CNF n. 9/2021)
– al fine di ottenere l’accoglimento di una propria istanza (nella specie, l’esenzione dal termine di cui all’art. 482 c.p.c.), attribuisca a controparte comportamenti di rilievo penale pur nella consapevolezza dell’intervenuto proscioglimento, seppur con sentenza non ancora passata in giudicato e comunque taciuta al proprio giudice (CNF n. 184/2020);
– al fine di ottenere l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 341 bis co. 3 c.p. per avvenuto integrale risarcimento del danno, ometteva di riferire al giudice che la proposta risarcitoria era stata rifiutata (CNF n. 224/2018).

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