Codice deontologico ➡️ Titolo IV – Doveri dell’avvocato nel processo (artt. 46 – 62) ➡️ Art. 52 | |
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I discorsi, gli scritti ed in generale gli atti politici non possono formare oggetto di procedimento disciplinare, tranne il caso che costituiscano una manifestazione di attività contraria agli interessi della Nazione (art. 39 RDL n. 1578/1933).
Tuttavia, benché i discorsi, gli scritti e in generale gli atti politici siano sottratti al sindacato disciplinare (art. 39 RDL n. 1578/1933), il professionista incontra sempre, oltre alle norme civili e penali che qualificano la condotta come illecita, anche il limite delle norme di correttezza professionale, sicché espressioni profondamente lesive della dignità e del decoro professionale (come ad es., frasi razziste ed omofobe) non possono mai considerarsi manifestazione di attività politica o pubblicistica, e sono perciò illecite sotto il profilo disciplinare (CNF n. 214/2024, CNF n. 14/1992).
Sulla rilevanza deontologica del comportamento dell’avvocato che, “per estrinsecare il suo pensiero politico”, ricorra alla violenza non solo verbale ma addirittura fisica cfr. CNF n. 230/1998 (nella specie aveva afferrato un minore extracomunitario che offriva oggetti nella pubblica via).
Espressioni sconvenienti o offensive: i principi di diritto da applicare all’illecito deontologico
All’illecito deontologico di cui all’art. 52 cdf si applicano i seguenti principi di diritto: i) la valutazione della natura offensiva o sconveniente delle frasi utilizzate non deve fermarsi alla superficie del passaggio difensivo incriminato, ma deve penetrarne la sostanza al di là della sua resa letterale; ii) il criterio fondamentale per valutare la liceità delle espressioni vietate è quello della loro attinenza alla difesa, specie se sconvenienti ma non direttamente offensive; iii) la responsabilità e quindi la determinazione della sanzione adeguata alla gravità ed alla natura del comportamento, va valutata tenendo conto dei fatti complessivamente valutati e non il singolo episodio oggetto di indagine, avulso dal contesto in cui si è verificato (CNF n. 180/2019).
Espressioni sconvenienti od offensive: i limiti di continenza e pertinenza
Nel conflitto tra diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più largo e insindacabile e il diritto della controparte al decoro e all’onore prevale il primo, salvo l’ipotesi in cui le espressioni offensive siano gratuite, ossia non abbiano relazione con l’esercizio del diritto di difesa e siano oggettivamente ingiuriose (CNF n. 93/2021, CNF n. 86/2019)
Espressioni sconvenienti od offensive ed exceptio veritatis: l’illecito non è scriminato dall’eventuale veridicità dei fatti
Le espressioni sconvenienti ed offensive (art. 52 cdf) assumono rilievo di per sé, indipendentemente dal contesto in cui sono utilizzate e dalla attendibilità o veridicità dei fatti che ne costituiscono oggetto, essendo il relativo divieto previsto a difesa della dignità e del decoro della professione, che, anche in presenza di condotte criticabili o perfino illecite dei colleghi o di terzi, impongono all’avvocato di manifestare la propria opinione o di formulare la propria denuncia in maniera riguardosa della personalità e della reputazione altrui indipendentemente dalla considerazione delle possibili conseguenze civilistiche o penalistiche della condotta. Tale divieto non si pone, tuttavia, assolutamente in conflitto con il diritto, garantito dall’art. 21 Cost., di manifestare con libertà il proprio pensiero, il quale non è assoluto ed insuscettibile di limitazioni, ma trova concreti limiti nei concorrenti diritti dei terzi e nell’esigenza di tutelare interessi diversi, anch’essi costituzionalmente garantiti (CNF n. 166/2024, CNF n. 191/2022, CNF n. 189/2022, CNF n. 43/2022, Cass. n. 13168/2021, Cass. n. 10852/2021, CNF n. 175/2021, CNF n. 134/2021, CNF n. 94/2021, CNF n. 93/2021, CNF n. 35/2021, CNF n. 19/2021, CNF n. 232/2020, CNF n. 42/2020).
Espressioni sconvenienti od offensive: la c.d. immunità giudiziaria
In tema di espressioni sconvenienti od offensive contenute in un atto giudiziario, l’esimente di cui all’art. 598 c.p. non è applicabile qualora le espressioni stesse non concernano l’oggetto della causa ma si riferiscano ad un soggetto diverso dal legittimo contraddittore del procedimento (CNF n. 20/2014). Tuttavia, l’illecito di cui all’art. 52 cdf non è scriminato dall’art. 598 c.p., che non trova spazio nel procedimento disciplinare, atteso che la tutela della libertà della difesa non attribuisce una singolare facoltà di offendere, dovendo tutti gli atti ed ogni condotta nel processo rispecchiare il dovere di correttezza, anche nelle forme espressive usate dalle parti (Cass. n. 4994/2018, CNF n. 39/2013, CNF n. 65/2009).
I possibili destinatari delle espressioni sconvenienti od offensive
Il divieto di uso di espressioni sconvenienti od offensive (“ed” offensive, prima della modifica del Codice deontologico in data 27/1/2006) ex art. 52 cdf non distingue circa la qualità ed il ruolo del destinatario delle espressioni stesse, che infatti possono astrattamente riguardare tanto colleghi e magistrati, quanto controparti e terzi (CNF n. 122/2012).
Espressioni sconvenienti od offensive nei confronti del giudice
Nell’ambito della propria attività difensiva, l’avvocato deve e può esporre le ragioni del proprio assistito con ogni rigore utilizzando tutti gli strumenti processuali di cui dispone e ciò massimamente nella fase dell’impugnazione, atto diretto a criticare anche severamente una precedente decisione giudiziale e ciò rappresentando con la maggiore efficacia possibile la carenza di motivazione del provvedimento impugnato. Il diritto di critica, tuttavia, non deve mai travalicare in una censurabile deplorazione dell’operato del difensore, delle controparti e del giudicante, incontrando il limite del divieto di utilizzare espressioni sconvenienti ed offensive che violino i principi posti a tutela del rispetto della dignità della persona e del decoro del procedimento, e soprattutto del rispetto della funzione giudicante riconosciuta dall’ordinamento con norme di rango costituzionale nell’interesse pubblico, con pari dignità rispetto alla funzione della difesa (CNF n. 43/2022, CNF n. 175/2020, CNF n. 134/2020)
Infatti, ancorché il diritto di critica nei confronti di qualsiasi provvedimento giudiziario costituisca facoltà inalienabile del difensore, tale diritto deve essere sempre esercitato, in primo luogo, nelle modalità e con gli strumenti previsti dall’orientamento processuale e mai può travalicare i limiti del rispetto della funzione giudicante, riconosciuta dall’ordinamento con norme di rango costituzionale nell’interesse pubblico, con pari dignità rispetto alla funzione della difesa. Proprio la giusta pretesa di vedere riconosciuta a tutti i livelli una pari dignità dell’avvocato rispetto al magistrato impone, nei reciproci rapporti, un approccio improntato sempre allo stile e al decoro, oltre che, ove possibile, all’eleganza, mai al linguaggio offensivo o anche al mero dileggio (CNF n. 27/2022, CNF n. 94/2021, CNF n. 35/2021).
Non sussiste rapporto di specialità tra fra gli artt. 52 e 53 del codice deontologico
Non sussiste rapporto di specialità fra gli artt. 52 e 53 del codice deontologico, giacché il secondo delimita l’ambito etico nel quale devono estrinsecarsi i rapporti fra avvocati e magistrati, richiamando, al riguardo, i principi generali della pari dignità e del reciproco rispetto, mentre il primo individua una specifica violazione dei canoni comportamentali anzidetti, che potrebbe essere commessa per il tramite della scrittura, sia in giudizio che al di fuori del medesimo, sicché, in presenza dei necessari presupposti di fatto, l’utilizzo delle “espressioni sconvenienti ed offensive negli scritti in giudizio” ben può comportare comportare la violazione di entrambe le norme (Cass. n. 36660, CNF n. 27/2022, CNF n. 56/2019, CNF n. 113/2018, CNF n. 56/2014).
Espressioni sconvenienti od offensive nei confronti della controparte personalmente
Il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell’atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell’art. 52 cdf, va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti (CNF n. 134/2023, CNF n. 178/2021, CNF n. 175/2021, CNF n. 101/2021, CNF n. 84/2021, CNF n. 19/2021, CNF n. 4/2021, CNF n. 129/2020, CNF n. 74/2020, CNF n. 225/2018, CNF n. 213/2018, CNF n. 231/2017, CNF n. 207/2017, CNF n. 111/2017, CNF n. 63/2017, CNF n. 20/2016, CNF n. 85/2014).
- Espressioni sconvenienti od offensive nei confronti di terzi in genere
Espressioni sconvenienti ed offensive: illecite anche quelle pronunciate nella dimensione non professionale ovvero della vita privata
L’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive, il cui carattere illecito deve essere accertato caso per caso ed alla luce dell’ambito in cui esse sono pronunciate (CNF n. 191/2022, Cass. n. 20383/2021, CNF n. 232/2020, CNF n. 141/2020).
Le espressioni sconvenienti od offensive non sono scriminate dalla provocazione altrui né dalla reciprocità delle offese
La rilevanza deontologica delle espressioni sconvenienti od offensive (art. 52 cdf) non è esclusa dalla provocazione altrui, né dalla reciprocità delle offese, né dallo stato d’ira o d’agitazione che da questa dovesse derivare, non trovando applicazione in tale sede l’esimente prevista dall’art. 599 c.p. (CNF n. 107/2024, CNF n. 341/2023, CNF n. 162/2022, CNF n. 213/2021, CNF n. 178/2021, CNF n. 175/2021, CNF n. 101/2021, CNF n. 93/2021, CNF n. 35/2021, CNF n. 4/2021, CNF n. 202/2020, CNF n. 190/2020, CNF n. 141/2020, CNF n. 103/2020, CNF n. 80/2020, CNF n. 72/2020, CNF n. 42/2020).
Espressioni sconvenienti od offensive: irrilevante il mancato ordine del giudice di cancellarle dagli scritti difensivi
In tema di frasi sconvenienti o offensive, è ininfluente il fatto che il Giudice civile abbia omesso di provvedere in ordine alla richiesta di cancellazione delle espressioni offensive, giacché il giudice della disciplina ha completa libertà di effettuare pieno riesame delle espressioni utilizzate sotto il profilo deontologico, indipendentemente dalla valutazione che possa fare il giudice del merito in ambito di responsabilità civile o penale circa il carattere offensivo o meno delle frasi stesse (CNF n. 175/2021, CNF n. 136/2017, CNF n. 122/2012, CNF n. 122/2012).
Espressioni sconvenienti od offensive: deontologicamente irrilevante l’eventuale liceità penale delle stesse
L’art. 52 cdf vieta l’uso di “espressioni sconvenienti od offensive”, e ciò a prescindere dalla rilevanza penalistica delle stesse (CNF n. 154/2014, CNF n. 168/2013).
Depenalizzazione del reato di ingiuria: la rilevanza deontologica di un comportamento prescinde dalla sua eventuale liceità civile o penale
La recente depenalizzazione del reato di ingiuria non spiega alcun effetto in ambito deontologico giacché, nell’autonomia riconosciuta dall’Ordinamento per la definizione dell’illecito deontologico, lo stesso ben può sussistere pur non costituendo illecito né civile né penale. Infatti, le ragioni e i principi che presiedono al procedimento disciplinare hanno ontologia diversa rispetto a quelli che attengono al governo dei diritti soggettivi, riguardando la condotta del professionista quale delineata attraverso l’elaborazione del codice deontologico forense e quale risultante dal dovere di correttezza e lealtà che deve informare il comportamento dello stesso; diversi sono i presupposti e le finalità che sottendono all’esercizio disciplinare e che con il provvedimento amministrativo si perseguono; diversa è l’esigenza di moralità che è tutelata nell’ambito professionale. L’illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista deve, infatti, essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, a nulla rilevando anche l’eventualità che tali comportamenti non siano configurabili anche come illeciti civili (Cass. n. 20383/2021, CNF n. 72/2020).
Espressioni sconvenienti o offensive: l’illecito è istantaneo
L’illecito deontologico di cui all’art. 52 cdf ha natura istantanea e si consuma quando il soggetto passivo percepisce o è in grado di percepire l’offesa a lui recata, sicché è da tale momento che decorre il termine di prescrizione dell’azione disciplinare (CNF n. 231/2024, CNF n. 245/2023, CNF n. 148/2023).
Parimenti, la pubblicazione di un articolo su un sito web ovvero di un post sui social che rivesta rilievo disciplinare costituisce illecito istantaneo ad effetti permanenti, sicché il dies a quo prescrizionale va individuato nel giorno in cui il contenuto sia eventualmente rimosso ovvero, in mancanza, dalla data di notifica della decisione disciplinare del CDD (Nella specie, trattavasi di espressioni razziste ed omofobe pubblicate su Facebook e YouTube). (CNF n. 214/2024).
- Casistica
Espressioni sconvenienti ed offensive nei confronti del Collega che ha perso la causa
Vìola gli artt. 42 e 52 cdf l’avvocato che, nel riferire al Cliente l’esito positivo della causa, pur potendo valorizzare diversamente la vittoria ottenuta, esprima apprezzamenti denigratori sull’attività professionale del Collega di controparte, in quanto lesivi dell’onore e del decoro di questi e dell’intera professione forense, oltre che del dovere di correttezza e colleganza (Nel caso di specie, l’avvocato aveva informato il cliente della vittoria della causa, che a suo dire l’avvocato di controparte aveva invece “gestito per perdere”. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della censura). (CNF n. 71/2020)
Espressioni sconvenienti od offensive: la punteggiatura enfatica non costituisce, di per sè, illecito deontologico
L’avvocato deve evitare espressioni offensive o sconvenienti nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi (art. 52 cdf), ma l’intento denigratorio non può sic et simpliciter dedursi dall’enfasi della punteggiatura (Nel caso di specie, la comparsa di costituzione e risposta oggetto di valutazione deontologica suggeriva al tribunale una certa “temerarietà” della causa, sottolineando l’assunto stesso con tre punti esclamativi. In applicazione del principio di cui in massima, rilevato che, nonostante l’evidente enfasi, la frase non avesse oggettiva portata denigratoria, il CNF ha escluso la rilevanza disciplinare del comportamento). (CNF n. 286/2023).
Le espressioni sconvenienti ed offensive contenute nelle giustificazioni a chiarimento dell’altrui esposto
Il diritto di difesa dell’incolpato sottoposto a procedimento disciplinare non gli attribuisce la facoltà di usare espressioni gratuitamente offensive verso l’esponente, la cui rilevanza disciplinare va rimessa al Consiglio territoriale di appartenenza per quanto di competenza (CNF n. 136/2019, CNF n. 110/2019, CNF n. 231/2018).
La pretesa “letterarietà” dell’espressione sconveniente o offensiva non ne scrimina la rilevanza deontologica
La circostanza che l’espressione offensiva o sconveniente sia stata ricavata da un testo letterario è del tutto irrilevante e non vale ad escludere la rilevanza deontologica della stessa (Nel caso di specie, l’incolpato aveva inviato una lettera personale al giudice della causa, definendolo “pinche tiranito”). (CNF n. 185/2013).
Espressioni sconvenienti ed offensive: un contemperamento in concreto con il diritto di critica
Secondo i canoni dell’attuale costume, l’espressione “persona sicuramente non educata” rivolta al Collega di controparte in risposta all’accusa di aver asseritamente tenuto un “comportamento indegno, contrario ai più elementari principi del galateo”, sebbene colorita nella forma e al più inopportuna, non pare oltrepassare la soglia dell’illecito deontologico, essendo piuttosto da ricomprendere nell’ambito di un diritto di replica e critica in senso lato (Nel caso di specie, in applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha accolto il ricorso e quindi annullato la sanzione disciplinare della censura irrogata all’incolpato dal Consiglio distrettuale di disciplina). (CNF n. 101/2021).
I limiti al diritto di critica e alla libertà di espressione nei confronti delle istituzioni forensi
La libertà di manifestare la propria opinione critica sulle Istituzioni Forensi trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell’Ordine Forense e dell’Avvocatura in generale. Integra, pertanto, grave violazione deontologica la diffusione sui social networks di un pensiero critico che si manifesti con espressioni deplorevoli e accostamenti ad organizzazioni criminali che disonorano l’Avvocatura e le Istituzioni Forensi in generale (CNF n. 57/2023).
Espressioni oggettivamente infelici possono rientrare nel limite della continenza
La valutazione della rilevanza deontologica delle espressioni rivolte al magistrato (art. 52 cdf) e dal contegno assunto nei suoi confronti (art. 53 cdf) non può prescindere dall’analisi del contesto in cui le condotte imputate all’avvocato si sono verificate. Sicché anche espressioni oggettivamente infelici possono rientrare nel limite della continenza nell’utilizzo del linguaggio che deve connotare l’agire dell’avvocato sia nella vita privata che nell’esercizio delle sue funzioni nell’ambito della giurisdizione senza assurgere ad illecito disciplinare (CNF n. 280/2022).
L’avvocato non deve alzare inutilmente il livello della conflittualità processuale
Il naturale coinvolgimento emotivo dell’avvocato nel perorare le ragioni del proprio assistito non lo esonera dall’adottare un’accortezza lessicale che, senza mortificare la forza delle argomentazioni difensive, eviti di alzare inutilmente il livello della conflittualità processuale. Infatti, il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell’atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell’art. 52 cdf (già art. 20 codice previgente), va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti (CNF n. 134/2020).
Offese in atti giudiziari: implicito l’“animus iniuriandi”
Violano l’art. 52 cdf le espressioni usate dal professionista che rivestano un carattere obiettivamente sconveniente ed offensivo e che si situino ben al di là del normale esercizio del diritto di critica e di confutazione delle tesi difensive dell’avversario, per entrare nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, del biasimo e della deplorazione dell’operato dell’avvocato della controparte, dovendo peraltro ritenersi implicito l’“animus iniuriandi” nella libera determinazione di introdurre quelle frasi all’indirizzo di un altro difensore in una lettera ed in un atto difensivo (CNF n. 207/2017).
Definire “bugie” o “menzogne” le affermazioni di controparte non è, in sè, offensivo né sconveniente
Definire “menzogne” o “bugie” (ovvero, etimologicamente, “cose deliberatamente non vere”) le affermazioni avversarie non integra, di per sè, alcun intento denigratorio ed offensivo nei confronti della controparte, quanto piuttosto solo la volontà di contestarne decisamente, e magari vivacemente, la veridicità, utilizzando espressioni in sé nient’affatto sconvenienti, e solo protese, anche sotto la reazione dell’emotività del momento, a rimarcare detta dimensione di assoluta non rispondenza a verità (CNF n. 76/2015, CNF n. 215/2010)
Contra, CNF n. 24/2015, secondo cui “Apostrofare il cliente e contestargli “bugie” e ”menzogne” non fa onore all’avvocato e non può essere dirimente il richiamo al diritto di critica, che può tranquillamente essere esercitato con l’utilizzo di altri aggettivi non costituenti attentato all’onore e all’immagine del destinatario” (sanzione dell’avvertimento).
Quando l’esercizio del diritto di difesa prevale sul diritto all’onore ed al decoro
L’esercizio del diritto di difesa prevale sul diritto all’onore ed al decoro, con l’eccezione dell’ipotesi in cui le espressioni utilizzate non abbiano relazione con l’esercizio di detto diritto e siano oggettivamente ingiuriose; fermo comunque il limite dettato dal rispetto dei doveri di probità e lealtà, non essendo dato trascendere in comportamenti non improntati a correttezza e prudenza (CNF n. 74/2015).
In particolare, l’art. 52 cdf, non diversamente dall’art. 89 c.p.c., nel conflitto tra il diritto-dovere a svolgere la difesa giudiziale nel modo più compiuto ed energico ed il diritto di ogni controparte al decoro ed all’onore, attribuisce prevalenza al primo, nel senso che l’offesa all’onore ed al decoro di ogni parte avversa realizza una responsabilità disciplinare nel solo caso in cui le espressioni offensive siano gratuite, ossia non abbiano relazione con l’esercizio del diritto di difesa. Non sussiste, invece, responsabilità disciplinare, allorquando le suddette espressioni, trovandosi in rapporto di necessità con le esigenze della difesa, presentino una qualche attinenza con l’oggetto della controversia e costituiscano, come tali, uno strumento per indirizzare la decisione del Giudice. (CNF n. 74/2015).
L’eccessiva e gratuita vis polemica mal si concilia con l’habitus ideale dell’avvocato
L’ostentazione di una eccessiva “vis polemica” al di là di confini dell’oggetto della materia processuale è indice sintomatico di un “modus operandi” incompatibile con le regole deontologiche nelle loro differenti articolazioni con la parte, i colleghi, i giudici e lo stesso Consiglio dell’Ordine (CNF n. 54/2015).
La difesa non giustifica l’offesa
Il diritto-dovere di difesa non scrimina l’illiceità deontologica di espressioni gratuitamente offensive ed esorbitanti (perché non pertinenti né funzionali alla difesa), che in quanto tali si situano infatti ben al di là del normale esercizio del diritto di critica, per entrare nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, dello scherno del biasimo e della deplorazione dell’operato altrui, con conseguente violazione dei doveri di probità, dignità e decoro ai quali l’avvocato deve comunque conformarsi, giacché la libertà riconosciuta alla difesa non può mai tradursi in una licenza ad utilizzare forme espressive sconvenienti e offensive nella dialettica processuale, con le altre parti e il giudice, ma deve invece rispettare i vincoli imposti dai doveri di correttezza e decoro (CNF n. 141/2024, CNF n. 209/2022, CNF n. 134/2021, CNF n. 84/2021, CNF n. 72/2020, CNF n. 52/2019).
Conseguentemente, configura violazione dell’art. 52 cdf:
– definire le difesa avversaria come “spudorata” (CNF n. 161/2013), “risibile” (CNF n. 154/2014), “demenziale” (CNF n. 220/2024), “scorretta, dolosa, indegna, arrogante, senza vergogna” (CNF n. 122/2012), ovvero come “subdole e infingarde insinuazioni” (CNF n. 217/2024)
– attribuire “la cattiveria più infima” a controparte, definendola altresì “boriosa e perfida” (CNF n. 217/2024), “sinistro personaggio” (CNF n. 78/2015), “faccia di bronzo” (CNF n. 220/2024)
– esprimere apprezzamenti denigratori sulle capacità professionali di un collega (CNF n. 73/2024), definendolo “profano” (CNF n. 99/2013), o “mediocre cultore del diritto” (CNF n. 233/2017)
– irridere controparte con l’avvertimento di adire l’autorità di sanità mentale (CNF n. 168/2013) ovvero con la richiesta canzonatoria “dispone di un conto corrente bancario?” (CNF n. 217/2024).
Espressioni offensive o sconvenienti: l’uso in atti dei termini “pretestuoso” e “arrogante”
Devono ritenersi prive di valenza offensiva e sconveniente, e quindi oggettivamente inidonee ad integrare l’illecito deontologico poiché non violative del dovere di decoro e dignità professionale o della onorabilità del collega, le espressioni con cui l’avvocato, nel proprio atto di citazione, definisca “pretestuoso” ed “arrogante” il contegno della controparte, allorché tali espressioni possano ritenersi pertinenti alla difesa e non già all’intento o alla volontà di offendere l’altrui reputazione (CNF n. 138/2008).