Codice deontologico ➡️ Titolo IV – Doveri dell’avvocato nel processo (artt. 46 – 62) ➡️ Art. 53 | |
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Consiglieri dell’ordine: il divieto di incarichi giudiziari da parte dei magistrati del circondario (art. 53 co. 5 cdf e art. 28 co. 10 ult. periodo L. n. 247/2012)
La ratio dell’incompatibilità di cui all’art. 28 co. 10 ult. periodo L. n. 247/2012 e art. 53 co. 5 cdf è quella di scongiurare che il Consigliere possa anche solo apparire non “specchiato” nello svolgimento dell’incarico che ha scelto di assumere nell’interesse dei Colleghi del Foro cui appartiene; si è voluto quindi attribuire all’incarico la dignità che gli compete, sgombrando il campo da incompatibilità e dal sospetto di interessi diversi da quelli che derivano dal corretto svolgimento del ruolo assunto all’interno dell’avvocatura (CNF parere n. 81/2016)
Consiglieri dell’Ordine: il divieto di assumere l’incarico di delegato alle vendite non è superato dalle modalità di nomina tramite sistema informatizzato a rotazione
Dopo l’assunzione della carica consiliare e per tutta la vigenza del relativo mandato, i Consiglieri dell’Ordine non possono accettare incarichi giudiziari da parte dei magistrati del circondario (art. 28, co. 10, L. n. 247/2012 e art. 53, co. 5, cdf). Tale divieto -che impone una netta distanza tra la figura del Consigliere dell’Ordine ed il Giudice del circondario, oggi resa anche più rigorosa dal ruolo svolto dai COA nei Consigli Giudiziari- riguarda tuttora le nomine a delegato alle vendite all’asta nelle procedure d’esecuzione immobiliare (art. 591 bis cpc), a nulla rilevando in contrario l’introduzione di un sistema informatizzato delle nomine stesse secondo criteri predeterminati (ordine alfabetico e rotazione automatica) di talché i relativi incarichi non potrebbero considerarsi conferiti ad personam giacché, per il suo alto ruolo, l’avvocato -specie se Consigliere dell’Ordine- deve non solo essere, ma anche apparire integerrimo agli occhi della comunità dei cittadini, nei cui confronti svolge la funzione determinante di garantire l’effettività della tutela dei diritti (CNF n. 122/2024).
Consiglieri dell’Ordine: la violazione del divieto di assumere incarichi giudiziari non comporta la decadenza automatica dalla carica
Ai consiglieri dell’Ordine non possono essere conferiti incarichi giudiziari da parte dei magistrati del circondario, ma la violazione del divieto non comporta la decadenza automatica prevista per l’incompatibilità della carica di consigliere dell’Ordine con quelle di consigliere nazionale, di componente del Consiglio di amministrazione e del Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nonché di membro di un Consiglio distrettuale di disciplina (art. 28, co. 10, L. n. 247/2012) (CNF n. 161/2018)
Ai fini dell’incompatibilità di cui all’art. 28 co. 10 ult. periodo L. n. 247/2012 e art. 53 co. 5 cdf, per incarichi giudiziari si devono intendere quelli in cui l’avvocato operi quale ausiliario del giudice (ad esempio curatore fallimentare, curatore dell’eredità giacente, delegato alle vendite nelle procedure esecutive immobiliari, custode giudiziale). Restano pertanto esclusi dall’incompatibilità gli incarichi che si sostanziano in oneri assegnati all’avvocato per lo svolgimento di compiti nei quali è prevalente la funzione sociale dell’attività (amministratore di sostegno, tutore di minori stranieri non accompagnati, ecc.). (CNF parere n. 24/2017)
L’incompatibilità di cui all’art. 28 co. 10 ult. periodo L. n. 247/2012 e art. 53 co. 5 cdf riguarda tutti gli incarichi il cui conferimento sia successivo all’assunzione della carica di Consigliere, permanendo fino al loro compimento la compatibilità della funzione con quelli precedentemente assegnati (arg. ex CNF parere n. 17/2017).
L’incompatibilità di cui all’art. 28 co. 10 ult. periodo L. n. 247/2012 e art. 53 co. 5 cdf riguarda anche gli incarichi “indiretti”, intendendosi come tali quelli conferiti al Collega di studio specie se in associazione con il Consigliere (CNF parere n. 81/2016)
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Non sussiste rapporto di specialità tra fra gli artt. 52 e 53 del codice deontologico
Non sussiste rapporto di specialità, ex art. 15 c.p., fra gli artt. 52 e 53 del codice deontologico, giacché il secondo delimita l’ambito etico nel quale devono estrinsecarsi i rapporti fra avvocati e magistrati, richiamando, al riguardo, i principi generali della pari dignità e del reciproco rispetto, mentre il primo individua una specifica violazione dei canoni comportamentali anzidetti, che potrebbe essere commessa per il tramite della scrittura, sia in giudizio che al di fuori del medesimo, sicché, in presenza dei necessari presupposti di fatto, l’utilizzo delle “espressioni sconvenienti ed offensive negli scritti in giudizio” ben può comportare comportare la violazione di entrambe le norme (Cass. n. 36660/2022, CNF n. 27/2022, CNF n. 56/2019, CNF n. 113/2018, CNF n. 56/2014).
L’istanza al giudice che allude ad un profonda sfiducia nella magistratura ha rilievo deontologico
La violazione dell’art. 53 cdf, che impone al professionista di mantenere con il giudice un rapporto improntato alla dignità ed al rispetto della persona del giudicante e del suo operato, si configura anche nell’utilizzo di espressioni sconvenienti in quanto dirette consapevolmente ad insinuare nei confronti del magistrato il sospetto di illiceità ovvero la violazione del dovere di imparzialità nell’esercizio delle funzioni. La tutela del diritto di difesa critica, il cui esercizio non può travalicare i limiti della correttezza e del rispetto della funzione, non può tradursi, ai fini dell’applicazione della relativa “scriminante”, in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti ed in tutte le condotte processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive utilizzate (CNF n. 57/2023).
Comportamenti o espressioni sconvenienti nei confronti del giudice
La violazione dell’art. 53 cdf, che impone al professionista di mantenere con il giudice un rapporto improntato alla dignità ed al rispetto della persona del giudicante e del suo operato, si configura anche nell’utilizzo di espressioni sconvenienti in quanto dirette consapevolmente ad insinuare nei confronti del magistrato il sospetto di illiceità ovvero la violazione del dovere di imparzialità nell’esercizio delle funzioni. La tutela del diritto di difesa critica, il cui esercizio non può travalicare i limiti della correttezza e del rispetto della funzione, non può tradursi, ai fini dell’applicazione della relativa “scriminante”, in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti ed in tutte le condotte processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive utilizzate (Nel caso di specie, al fine di provocarne l’astensione per asseriti pregressi incrinati rapporti, l’avvocato tacciava il giudice di scorrettezza ed incompetenza, abbandonando l’aula d’udienza e rifiutando di stringergli la mano. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per anni uno). (CNF n. 202/2020).
Sospensione per l’avvocato che diffama il giudice
Il diritto di critica nei confronti di qualsiasi provvedimento giudiziario fa parte delle facoltà inalienabili del difensore, ma non deve mai travalicare in una censurabile deplorazione dell’operato del giudicante, incontrando il limite del divieto di utilizzare espressioni sconvenienti ed offensive che violino i principi posti a tutela del rispetto della dignità della persona e del decoro del procedimento, e soprattutto del rispetto della funzione giudicante riconosciuta dall’ordinamento con norme di rango costituzionale nell’interesse pubblico, con pari dignità rispetto alla funzione della difesa (Nel caso di specie, in uno scritto rivolto al Presidente del Tribunale, al Presidente della Corte di Appello e al Ministro di Giustizia, l’avvocato aveva accusato il Giudice di una sua causa di aver, con dolo, “espulso un aborto giuridico”. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di mesi tre). (CNF n. 175/2020).
Vietato interloquire con il giudice in merito al procedimento in corso senza la presenza del collega avversario
Costituisce illecito disciplinare (art. 53, co. 2, cdf) il comportamento dell’avvocato che, fuori dall’udienza ed in assenza della controparte, avvicini il magistrato o lo contatti inviandogli una comunicazione personale per discutere della causa (CNF n. 232/2024, CNF n. 42/2020, CNF n. 185/2013, CNF n. 114/2016, CNF n. 228/2015, CNF n. 185/2013, CNF n. 106/2011).
Peraltro, tale divieto vale anche con riferimento ai giudizi definiti, giacché la ratio del divieto è quello di garantire quanto più possibile il distacco e l’imparzialità con gli organi giudicanti (CNF n. 56/2019).
I limiti del diritto di critica dei provvedimenti giudiziari
Il diritto-dovere di critica nei confronti di qualsiasi provvedimento giudiziario mai può travalicare i limiti del rispetto della funzione giudicante, sia con riferimento alla persona del giudicante sia al suo operato e alla funzione esercitata, riconosciuta dall’ordinamento con norme di rango costituzionale nell’interesse pubblico, con pari dignità rispetto alla funzione della difesa (CNF n. 232/2024, CNF n. 56/2019, CNF n. 221/2018, CNF n. 113/2018, CNF n. 22/2017, CNF n. 250/2015, CNF n. 20/2014, CNF n. 39/2013, CNF n. 110/2011).
L’avvocato che sia anche magistrato onorario deve astenersi dal decidere le cause dei propri colleghi di studio
Pone in essere un comportamento contrario ai doveri di lealtà e correttezza il professionista che nell’esercizio delle funzioni di magistrato onorario non si astenga ex art. 53 co. 3 cdf in una procedura introdotta da un avvocato sulla cui carta intestata risulti anche il proprio nominativo quale componente dello studio (Nel caso di specie, l’avvocato magistrato onorario, dopo aver deciso -accogliendolo- il ricorso del collega di studio, si era inoltre personalmente recato presso l’autorità di polizia competente al fine di accertare l’esecuzione del provvedimento stesso). (CNF n. 169/2012).
Avvocato – Norme deontologiche – Dovere di probità – Rapporti con il magistrato – Deduzione in giudizio di un esposto presentato avverso l’organo giudicante – legittimità.
Pone in essere un comportamento deontologicamente corretto l’avvocato che, in un giudizio civile, faccia rilevare l’esistenza di un esposto presentato nei confronti dell’organo giudicante, ove la circostanza risulti veritiera e documentata e non vi siano elementi tali da indurre a ritenere fondatamente che l’iniziativa si ponesse lo scopo di influenzare negativamente il giudice o di porlo in condizioni di non svolgere serenamente la propria attività. Infatti, la dignità e il rispetto nei confronti dei magistrati non potranno mai arrivare a comprimere il diritto di allegazione di tutto ciò che l’avvocato possa ritenere utile alla difesa, foss’anche ai fini di sollecitare l’astensione del giudice, purché ciò che si allega, appunto, sia vero e documentato e non influenzi negativamente il giudice (CNF n. 310/2024, CNF n. 116/2002).
V. pure art. 52 cdf con riferimento al divieto di uso di espressioni offensive o sconvenienti.