Codice deontologico ➡️ Titolo VI – Rapporti con le istituzioni forensi (artt. 69 – 72) ➡️ Art. 71 | |
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Il comma 1 della norma in esame prevede un obbligo di esposto o segnalazione a carico di ciascun iscritto all’albo o registro con riferimento a fatti che richiedano iniziative o interventi istituzionali forensi. A quanto consta, non si rinvengono, ad oggi, pronunce di condanna disciplinare nei confronti di avvocati per l’omissione di tale dovere d’ufficio.
L’obbligo di informazione nei confronti delle istituzioni forensi
Dalla norma di cui all’art. 71 cdf discende un obbligo particolarmente penetrante nei confronti dell’avvocato di informare le istituzioni forensi di ogni atto o fatto che possa in qualche modo incidere sullo status dell’iscritto e, soprattutto, se sottoposto a procedimento disciplinare, sopra ogni atto adottato dall’A.G. che possa avere rilievo nell’ambito del procedimento stesso (Nel caso di specie, l’incolpato aveva omesso di informare correttamente il CDD sull’esito del procedimento penale che lo riguardava). (CNF n. 280/2024).
Pur dopo la riformulazione di quanto a suo tempo previsto dall’art. 24 cod.prev (secondo cui la mancata risposta alla richiesta di chiarimenti da parte del COA costituiva illecito disciplinare), i commi 2 e 3 della norma in commento devono ritenersi ulteriormente ridimensionati ad opera della sopravvenuta giurisprudenza domestica e di legittimità, secondo cui il diritto di difesa dell’avvocato (che non può essere costretto a rendere dichiarazioni a sè sfavorevoli) prevale sul dovere di riscontrare le richieste di chiarimenti ricevute dalle istituzioni forensi (v. giurisprudenza in calce). Stesse considerazioni valgono con riferimento alla “contumacia” dell’incolpato nel procedimento disciplinare, che -oltre a non costituire illecito disciplinare (comma 3)- non può neppure comportare aggravamento della sanzione né può “essere valutato dall’organo giudicante nella formazione del proprio libero convincimento”, come invece stabilito dall’art. 71 co. 3, ult. periodo cdf, da ritenersi quindi abrogato di fatto in parte qua. Infatti, anche alla luce del principio accusatorio che informa il procedimento disciplinare, l’assenza dell’incolpato all’udienza dibattimentale non aggrava, di per sè, la sanzione disciplinare (CNF n. 217/2024, CNF n. 121/2024), ma può semmai attenuarla allorché denoti assenza di opposizione (CNF n. 121/2024), giacché altrimenti ne risulterebbe coartata la sua libertà di scegliere la strategia difensiva ritenuta più opportuna, che ha il suo referente costituzionale nell’art. 24 Cost. (CNF n. 103/2022, CNF n. 81/2021, CNF n. 221/2020, CNF n. 141/2020, CNF n. 69/2019, CNF n. 53/2020, CNF n. 13/2019, CNF n. 103/2018, CNF n. 33/2018, CNF n. 245/2017, CNF n. 244/2017, CNF n. 139/2015). Peraltro, la citazione a giudizio dell’incolpato contiene l’avviso all’incolato che “in caso di mancata comparizione, non dovuta a legittimo impedimento o assoluta impossibilità a comparire, si procederà in sua assenza” (art. 21 co. 2 lett. c Reg. CNF 2/2014), senza alcun riferimento alla (negativa) rilevanza di tale assenza ai fini del libero convincimento del giudice disciplinare. In definitiva, deve quindi ritenersi che la mancata partecipazione dell’incolpato al suo procedimento disciplinare non comporta aggravamento della sanzione né rileva quale principio di prova né ai fini di un libero convincimento del giudice sulla sua colpevolezza, giacché l’incolpato ha il diritto, non il dovere ma semmai l’onere, di partecipare all’udienza (CNF n. 216/2024, Cass. n. 26991/2002, Cass. n. 10444/2022, Cass. n. 8777/2021, CNF n. 152/2021). In proposito, v. commento sub art. 21 cdf, sub specie paragrafo sul il comportamento complessivo dell’incolpato, anche precedente e successivo al fatto).
Nemo tenetur contra se edere: la mancata risposta alla richiesta di chiarimenti da parte del Consiglio territoriale
Non costituisce (più) illecito disciplinare la mancata risposta dell’avvocato alla richiesta del Consiglio territoriale di chiarimenti, notizie, o adempimenti in relazione ad un esposto presentato, per fatti disciplinarmente rilevanti, nei confronti dello stesso iscritto ex art. 71 cdf, e per le stesse ragioni non può essere valutata negativamente, ai fini della determinazione della sanzione ex art. 21 CDF, la linea difensiva di contrasto adottata dall’incolpato nel corso del procedimento disciplinare a suo carico, costituendo legittima espressione del diritto di difesa (CNF n. 103/2022, CNF n. 81/2021, CNF n. 221/2020, CNF n. 182/2020, CNF n. 47/2020, CNF n. 141/2020, CNF n. 69/2019, CNF n. 13/2019, CNF n. 103/2018, CNF n. 97/2018, CNF n. 33/2018, CNF n. 245/2017, CNF n. 244/2017, CNF n. 139/2015).
Tuttavia, “il fatto che ci si avvalga della facoltà di non rispondere, non esime l’incolpato dal presentarsi a rendere dichiarazione di esercizio di un suo diritto” (CNF n. 119/2015, CNF n. 61/2012 e CNF n. 63/2012).
Nemo tenetur se detegere: il diritto al silenzio riguarda il rapporto tra il potenziale incolpato e l’autorità preposta al controllo e alla repressione degli illeciti
In applicazione del principio fondamentale “nemo tenetur se detegere”, basato sull’art. 24 Cost. e sull’art. 6 CEDU, l’avvocato non può essere costretto a deporre contro se stesso ovvero a rendere dichiarazioni in seguito alle quali possa essere successivamente esposto a un procedimento sanzionatorio, ancorché richieste dal consiglio territoriale nell’ambito delle sue funzioni di vigilanza e controllo. Tuttavia, tale diritto al silenzio riguarda il rapporto tra il potenziale incolpato, che intenda avvalersene, e l’autorità titolare dei procedimenti amministrativi, anche solo di vigilanza, finalizzati alla scoperta di eventuali illeciti, all’individuazione dei responsabili ed all’irrogazione delle relative sanzioni amministrative di carattere punitivo, sicché non può essere legittimamente invocato con riferimento a rapporti diversi (nella specie, nei confronti dell’avvocato di controparte ed all’interno del rapporto di colleganza, con violazione dei doveri di lealtà, correttezza e collaborazione tra i difensori, di cui agli artt. 9, 19 e 46, comma 5, del codice deontologico forense). (Cass. n. 27284/2024).
La violazione degli impegni assunti in sede di Conciliazione avanti al COA costituisce illecito deontologico
Costituisce violazione dei principi che presiedono ad un corretto rapporto tra gli iscritti e l’ordine di appartenenza ovvero dell’obbligo di leale collaborazione con il COA (art. 71 cdf), il comportamento dell’avvocato che venga meno all’impegno assunto formalmente in sede conciliativa avanti al COA (CNF n. 134/2018, CNF n. 328/2016).
Dichiarazioni mendaci o reticenti in sede di istanza di iscrizione all’albo o registro: l’omessa attestazione di precedenti penali può pregiudicare il requisito della condotta irreprensibile
Costituisce violazione del dovere di verità nei confronti delle istituzioni forensi (art. 71 co. 1 cdf), con conseguente possibile rilievo anche ai fini della valutazione circa il requisito della condotta irreprensibile (art. 17 co. 1 lett. h L. n. 241/2012) l’aver sottaciuto, in sede di domanda di iscrizione all’albo o registro, la sussistenza di condanne penali (CNF n. 349/2024, CNF n. 165/2022, CNF n. 58/2011).