Può accadere che nei confronti di una medesima condotta confluiscano più norme deontologiche incriminatrici: tale confluenza può dar luogo ad un vero e proprio concorso di illeciti disciplinari, oppure ad un concorso (o conflitto) apparente di norme, che appunto ricorre quando la condotta stessa risulti riconducibile a più fattispecie incriminatrici soltanto in apparenza perché in realtà integra un solo illecito1.

A quest’ultimo proposito, assume rilievo il c.d. principio di specialità secondo cui, tra due o più norme che in astratto disciplinano uno stesso comportamento, si applica in concreto quella più specifica che appunto prevale rispetto a quella più generale.

Il principio in parola, che in sede penale trova espressa regolamentazione codicistica (art. 15 c.p.), opera anche in ambito disciplinare, dove ad esempio è pacifico che ogni illecito lede i principi generali di probità, dignità, decoro ma l’art. 9 cdf non trova applicazione (neppure ai fini dell’aggravamento della sanzione) se la fattispecie sia espressamente disciplinata da una specifica norma deontologica incriminatrice, la quale infatti si applicherà in via esclusiva proprio in forza di detto principio (cfr. CNF n. 190/2023, CNF n. 87/2022, CNF n. 173/2018, CNF n. 198/2017, CNF n. 132/2012).

Ciononostante, in ambito disciplinare il principio di specialità assume connotati particolari.

Infatti, come recentemente ribadito da Cass. n. 27588/2024 (v. in calce), che peraltro cita adesivamente Cass. n. 3644/2023 (conf., Cass. n. 2610/2021 e Cass. n. 6372/2005), non è applicabile al concorso di illeciti disciplinari il principio di specialità così come inteso in ambito penale sulla base dell’art. 15 c.p., giacché in quella sede assume come termini di comparazione (per decidere del carattere di specialità di una delle due norme) gli elementi di struttura delle rispettive fattispecie (la raffigurazione legislativa della condotta illecita), senza considerare in modo decisivo la funzione delle norme giuridiche di proteggere gli interessi di volta in volta coinvolti (e ritenuti appunto meritevoli di tutela dall’ordinamento).

In altre parole, e per usare quelle della Corte, “nelle ipotesi in cui più norme di illecito disciplinare appaiono, almeno prima facie, tutte applicabili ad un medesimo fatto (concorso di norme), il giudizio di sussistenza di un rapporto tale che solo una di loro si applichi (cosicché il concorso rivesta un carattere apparente) si fonda sul raffronto tra gli interessi che tali norme sono chiamate a proteggere, piuttosto che su una comparazione tra gli elementi strutturali delle fattispecie”.

Proprio per questo motivo, infatti, non sussiste rapporto di specialità tra gli artt. 52 e 53 del codice deontologico, che sono infatti norme poste a tutela di differenti interessi, sicché l’utilizzo di “espressioni sconvenienti ed offensive negli scritti in giudizio” le vìola entrambe (Cass. n. 36660/2022, CNF n. 27/2022, CNF n. 56/2019, CNF n. 113/2018, CNF n. 56/2014).

In definitiva, in ambito deontologico, e a differenza di quanto avviene in penale ai sensi dell’art. 15 c.p. cit., allorché una condotta sia astrattamente sussumibile in più fattispecie incriminatrici, al fine di stabilire se si tratti di un concorso (o conflitto) apparente di norme, occorre aver riguardo alla ratio delle norme stesse cioè ai rispettivi interessi protetti, operando il principio di specialità solo allorché le disposizioni in conflitto siano a presidio dei medesimi interessi, sussistendo altrimenti un concorso di illeciti.

NOTE

  1. Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, II Ed., pagg. 487-8. ↩︎

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