Prendendo spunto dalla recente sentenza CNF n. 332/2023 (rel. Arnau), ho interrogato Deontologicus sul principio del “ne bis in idem”, con l’espressa richiesta di indicare i riferimenti di eventuali orientamenti contrastanti (così da poter verificare la correttezza della risposta ed individuare eventuali “allucinazioni”).
La risposta data dall’AI risulta corretta, così come le fonti citate (v. in calce).
Sul merito della questione, invece, riterrei personalmente condivisibile la tesi affermata dal CNF, perché più garantista e meglio rispondente alla natura amministrativa ma speciale (rectius, giustiziale) del procedimento celebrato dinanzi al CDD.
A ciò si aggiunga un dettaglio che dettaglio non è: pur ammettendo, come fa la più recente Cassazione, che il principio del divieto di bis in idem non si applichi dinanzi al procedimento amministrativo dinanzi al CDD, lo stesso principio però troverebbe poi applicazione in sede di procedimento giurisdizionale dinanzi al CNF, con conseguente violazione del principio del giusto processo per la celebrazione di due gradi di giudizio che si sarebbero potuti e dovuti evitare sin da subito.
Aggiungo infine un’ulteriore considerazione.
L’accennato contrasto sulla operatività del principio in parola non è tra Cassazione e CNF, ma anche all’interno della stessa Cassazione, la quale infatti in svariate circostanze ha affermato, pure recentemente, l’operatività del “ne bis in idem” anche dinanzi al CDD (Cass. n. n. 35462/2021, n. 9547/2021, n. 24896/2020, n. 2506/2020, n. 29878/2018, n. 19526/2018, n. 9910/2018, n. 25368/2014, n. 16283/2010).
Insomma, la particolare, particolarissima natura ibrida del procedimento disciplinare dà inevitabilmente luogo ad incertezze interpretative, anche in seno alla stessa Cassazione, con l’auspicio che -nel dubbio- sia privilegiata la tutela del principio non solo giurisdizionale ma generale del diritto di difesa: se, poi, questo sia inteso come principio del giusto processo per la fase dinanzi al CNF o, rispettivamente, come principio del buon andamento dell’amministrazione per la fase dinanzi al CDD, alla fine poco importa qualora si abbia riguardo alla sostanza cioè al “bene della vita”, che è identico in tutti i gradi -amministrativo e giurisdizionale- del procedimento disciplinare.
In calce la risposta di Deontologicus, per immagine e in formato testo.

Il principio del “ne bis in idem” si applica o no al procedimento disciplinare dinanzi al CDD? So che c’è un contrasto interpretativo: mi citeresti i riferimenti dei due opposti orientamenti?
Il principio del “ne bis in idem” si applica al procedimento disciplinare dinanzi al CDD secondo alcuni orientamenti, mentre secondo altri non trova applicazione.Da un lato, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10852 del 23 aprile 2021 (pres. Manna, rel. Graziosi), ha affermato che il principio del “ne bis in idem” non si applica ai procedimenti disciplinari, in quanto questi ultimi sono ontologicamente diversi dai procedimenti penali o civili e non sono soggetti alle stesse regole di ordine pubblico processuale.
Dall’altro lato, il Consiglio Nazionale Forense ha espresso un orientamento opposto in diverse sentenze, tra cui la sentenza n. 332 del 27 dicembre 2023 (pres. f. Corona, rel. Arnau), affermando che nel procedimento disciplinare trova applicazione il principio del “ne bis in idem”. Secondo questa interpretazione, il principio si applica quando una condotta determinata sotto il profilo fattuale, storico e temporale sia stata già in precedenza delibata nel merito dal Giudice sotto l’aspetto deontologico e si sia pertanto consumato il potere disciplinare in ordine al fatto contestato.
Inoltre, altre sentenze del CNF hanno confermato questo orientamento, come la sentenza n. 194 del 3 ottobre 2023 (pres. Greco, rel. Pizzuto) e la sentenza n. 273 del 29 luglio 2016 (pres. De Michele, rel. Labriola).