Come emerge anche dalla Relazione illustrativa (pagg. 4-5), il nuovo codice deontologico è strutturato in due grandi parti (“con una separazione, frutto non di una cesura bensì di una saldatura”): nella prima, collocata nel Titolo I, si trovano i “principi generali”; nella seconda, collocata nei successivi Titoli II-VI, si trovano invece le “norme incriminatrici” con le relative sanzioni applicabili.

In particolare, rispetto al codice previgente, la caratteristica principale del nuovo codice è la tipizzazione della condotta con l’espressa indicazione della sanzione applicabile, per quanto possibile (art. 3 co. 3 L. n. 247/2012). Infatti, nel “vecchio” codice del 1997 non solo mancava la previsione della sanzione per gli illeciti ivi espressamente contemplati, ma questi ultimi costituivano altresì mere “esemplificazioni dei comportamenti più ricorrenti e non limita[va]no l’ambito di applicazione dei principi generali espressi” (art. 60 cod.prev., rubricato “Norma di chiusura”, ma per questo, in realtà, “di apertura”).

Epperò, già all’indomani della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l’esigenza di tipizzazione dell’illecito deontologico dovette fare i conti con la variegata e teoricamente illimitata casistica di tutti i comportamenti potenzialmente illeciti, anche della vita privata1. Conseguentemente, si è avvertita l’esigenza di novellare l’art. 20 cdf, che così ora prevede espressamente una responsabilità disciplinare anche per le condotte non tipizzate.

In particolare, ciò è stato possibile facendo leva sull’inciso “per quanto possibile” contenuto nell’art. 3 co. 3 L. n. 247/2012 cit., da cui si è appunto ricavato che la tipicità dell’illecito deontologico (e della relativa sanzione disciplinare) è meramente tendenziale, di talché “il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, non trova applicazione nella materia disciplinare forense, nell’ambito della quale non è prevista (né possibile) una tassativa elencazione dei comportamenti vietati”2.

Da qui, la punibilità (anche) in sede disciplinare dei più disparati comportamenti, ancorché non espressamente tipizzati dal codice deontologico: dalla falsa testimonianza (CNF n. 58/2022) alle minacce (CNF n. 71/2022), dalla concussione (CNF n. 73/2022) allo stalking (CNF n. 80/2022), dall’appropriazione indebita (CNF n. 38/2024) alla truffa (CNF n. 280/2023), dalla bancarotta (CNF n. 35/2024) ai reati fiscali (CNF n. 112/2024), dall’associazione mafiosa (CNF n. 88/2023) alla corruzione in atti giudiziari (CNF n. 26/2024), dalla violenza sessuale (CNF n. 86/2024) alla falsificazione di sentenze e contratti (CNF n. 66/2024), eccetera3.

Per tutti tali illeciti, “il metodo più adeguato, ragionevole e prudente con cui procedere per determinare la sanzione applicabile in concreto appare quello di individuare norme deontologiche tipiche volte alla tutela di interessi e di valori almeno simili a quelli che la violazione in contestazione abbia pregiudicato e, quindi, a commisurare la sanzione da applicare nel caso oggetto di giudizio alle previsioni sanzionatorie previste nelle norme tipizzate così individuate” (CNF n. 66/2024). Così, ad esempio, “l’art. 50 cdf (che disciplina il dovere di verità dell’avvocato nel processo stabilendo il divieto di ivi introdurre elementi di prova o documenti che egli sappia essere falsi) può costituire valido criterio e quindi parametro per la repressione di illeciti disciplinari atipici aventi analoghe caratteristiche, come nel caso in cui i falsi riguardino atti e documenti estranei al processo” (CNF n. 127/2024, CNF n. 9/2019) .

Tuttavia, sussumere una determinata condotta nell’alveo degli illeciti atipici e conseguentemente individuare la relativa sanzione disciplinare secondo il metodo “adeguato, ragionevole e prudente” di cui sopra, presuppone appunto che la condotta stessa non sia espressamente tipizzata dal codice deontologico. Diversamente, il giudice della deontologia sarebbe vincolato -ma con valutazione insindacabile in sede di legittimità4– alla sanzione edittale prevista dal codice per la specifica fattispecie, seppur nel range di attenuazione e aggravamento previsto dall’art. 22 cdf. Tale operazione ermeneutica, peraltro, trova conforto nel c.d. “principio di specialità”, che opera anche in sede disciplinare5.

Tale presupposto, cioè l’assenza di una condotta tipizzata per la quale sia altresì prevista una specifica sanzione disciplinare, rischia tuttavia di mancare nella maggior parte degli illeciti atipici finora presi in esame dalla giurisprudenza, giacché nella Parte speciale del codice (che -come detto- contiene le “norme incriminatrici”, quindi le condotte tipiche con relativa sanzione disciplinare) si prevede espressamente che “L’avvocato, anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi” (art. 63 co. 1 cdf). Ma, allora, poiché tutti gli illeciti deontologici sopra esemplificativamente menzionati -i gravi ancor più dei lievi- compromettono “la dignità della professione e l’affidamento dei terzi”, non c’è il rischio che essi costituiscano violazione del menzionato comma e quindi della relativa fattispecie tipizzata?

E, infatti, in alcuni casi si è espressamente fatto riferimento proprio a tale norma per sanzionare comportamenti illeciti altrimenti “atipici”. È stato il caso, ad esempio, dell’accesso non autorizzato dell’avvocato ai fascicoli dell’ufficio giudiziario (CNF n. 36/2022), e dell’assenza ingiustificata dell’avvocato alla visita fiscale per malattia (CNF n. 154/2016).

Ora, in astratto, una norma codicistica che offra (ulteriore) copertura deontologica per la sanzionabilità della “illimitata casistica di tutti i comportamenti potenzialmente illeciti, anche della vita privata” (cit.), non sarebbe di per sè una cosa negativa. Del resto, lo stesso art. 9 cdf svolge la medesima funzione.

Tuttavia, a differenza di quest’ultima norma, che è contenuta nella parte del codice dedicata ai “principi generali” (v. incipit a questo scritto), l’art. 63 cdf è invece collocato nella “parte speciale” (Titolo V), la quale è appunto dedicata alle “norme incriminatrici” (v. incipit cit.): infatti, proprio per tale motivo, la norma de qua prevede anche una specifica sanzione (l’avvertimento, aggravabile ex art. 22 cdf fino alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per due mesi). Tale sanzione, tuttavia, appare oggettivamente inadeguata, anche nella sua forma aggravata, per le condotte potenzialmente rientranti nel primo comma della norma stessa, molte delle quali sono veri e propri crimini efferati penalmente rilevanti, per i quali il Giudice della deontologia non ha esitato a irrogare anche la massima sanzione disciplinare della radiazione, dopo averli appunto qualificati come illeciti atipici.

Insomma, il comma 1 della norma in questione, per il suo carattere generale, rischia di “tipizzare” condotte altrimenti atipiche e -soprattutto- altrimenti sanzionate.

Invero, con un certo sforzo interpretativo e argomentativo, si può certamente escludere l’applicabilità del comma 1 a comportamenti gravi che “compromettono la dignità della professione e l’affidamento dei terzi”. Tuttavia, proprio per il suo carattere così generale, la norma meriterebbe probabilmente una diversa collocazione nel codice, perché c’è il “rischio” (considerata la modesta sanzione prevista) che l’illecito a forma libera sia meno atipico di quanto si creda.

Ebbene, proprio al fine di evitare strumentalizzazioni, volte ad invocare l’applicazione di una norma incriminatrice di particolare favore, sarebbe forse opportuno sgombrare il campo da possibili fraintendimenti e quindi emendare l’art. 63 cdf abrogando il primo comma, il cui contenuto – palesemente di carattere generale – troverebbe, in quanto tale, miglior collocazione nel Titolo I del codice.

Invece, per la violazione del comma 2 dell’art. 63 cdf (che riguarda il dovere di tenere un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei propri dipendenti, del personale giudiziario e di tutte le persone con le quali si venga in contatto nell’esercizio della professione) la sanzione dell’avvertimento prevista dall’attuale comma 3 (per entrambe le fattispecie) appare senz’altro adeguata, sicché tale illecito potrebbe rimanere come (unica) condotta tipica deontologicamente sanzionata dall’articolo in parola.

Modena, 18 settembre 2024.

Juri Rudi

Adde.
Con sentenza n. 26369 del 10 ottobre 2024, la Corte di Cassazione ha opportunamente “disinnescato” la mina dell’art. 63 co. 1 cdf, affermando quanto segue: “Poiché nel procedimento a carico degli avvocati il giudice disciplinare può, entro il limite della ragionevolezza, individuare l’esatta configurazione della violazione in clausole generali oppure in norme deontologiche speciali, non è irragionevole ravvisare in un comportamento integrante una violenza sessuale a danno di terzi l’illecito, di carattere generale, di cui all’art. 9, comma 2, del codice deontologico (violazione dei doveri di probità, dignità e decoro al di fuori dell’attività professionale), punito più severamente di quello, più specifico, di cui all’art. 63 dello stesso codice (rapporti con i terzi), sanzionato con il semplice avvertimento.” (Fattispecie relativa alla condotta di violenza sessuale in danno di terzi)

Note

  1. La potenziale rilevanza deontologica della vita privata dell’avvocato è prevista nell’art. 2 co. 1 cdf (“Le norme deontologiche […] si applicano anche ai comportamenti nella vita privata”), nell’art. 9 co. 2 cdf (“anche al di fuori dell’attività professionale”), nell’art. 63 co. 1 cdf (“anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero”) e nell’art. 64 co. 2 cdf (“inadempimento ad obbligazioni estranee all’esercizio della professione”). ↩︎
  2. CNF n. 125/2024, CNF n. 86/2024, Cass. n. 22463/2023, Cass. n. 10810/2023, CNF n. 301/2023, CNF n. 177/2023, CNF n. 165/2023, CNF n. 99/2023, CNF n. 45/2023, Cass. n. 34206/2022, Cass. n. 7073/2022, CNF n. 245/2022, CNF n. 230/2022, CNF n. 207/2022, CNF n. 128/2022, CNF n. 127/2022, CNF n. 105/2022, CNF n. 104/2022, CNF n. 81/2022, CNF n. 71/2022, CNF n. 56/2022, CNF n. 32/2022, Cass. n. 37550/2021, Cass. n. 8777/2021, CNF n. 256/2021, CNF n. 196/2021, CNF n. 180/2021, CNF n. 162/2021, CNF n. 153/2021, CNF n. 143/2021, CNF n. 137/2021, CNF n. 123/2021, CNF n. 104/2021, CNF n. 95/2021, CNF n. 35/2021, CNF n. 34/2021, CNF n. 248/2020, CNF n. 215/2020, CNF n. 174/2020, CNF n. 109/2020, CNF n. 81/2020, CNF n. 52/2020, CNF n. 203/2019, CNF n. 202/2019, CNF n. 146/2019, CNF n. 136/2019, CNF n. 108/2019, CNF n. 59/2019, CNF n. 50/2019, CNF n. 41/2019, CNF n. 20/2019, Cass. n. 17534/2018, Cass. n. 8038/2018, CNF n. 224/2018, CNF n. 213/2018, CNF n. 170/2018, CNF n. 141/2018, CNF n. 132/2018, CNF n. 112/2018, CNF n. 110/2018, CNF n. 99/2018, CNF n. 97/2018, CNF n. 96/2018, CNF n. 61/2018, CNF n. 60/2018, CNF n. 40/2018, CNF n. 26/2018, CNF n. 14/2018, CNF n. 9/2018, CNF n. 5/2018, Cass. n. 31227/2017, Cass. n. 30993/2017, CNF n. 207/2017, CNF n. 198/2017, CNF n. 186/2017, CNF n. 155/2017, CNF n. 150/2017, CNF n. 139/2017, CNF n. 136/2017, CNF n. 102/2017. ↩︎
  3. Per una rassegna della casistica degli ultimi anni, v. la giurisprudenza sull’illecito atipico annotata in calce all’art. 9 cdf. ↩︎
  4. Cass. n. 34351/2023, Cass. n. 30313/2023, Cass. n. 25940/2023, Cass. n. 25440/2023, Cass. n. 21311/2023, Cass. n. 29589/2022, Cass. n. 26991/2022, Cass. n. 26990/2022, Cass. n. 20384/2021, Cass. n. 20383/2021, Cass. n. 4847/2021. ↩︎
  5. In arg. cfr. CNF n. 190/2023, CNF n. 87/2022, CNF n. 173/2018, CNF n. 198/2017, CNF n. 132/2012, secondo cui l’art. 9 cdf enuncia i principi fondamentali della professione forense (doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza) che vengono comunque necessariamente violati in occasione di ogni comportamento illecito, sicché non possono comportare autonomo aggravamento della sanzione ove la fattispecie trovi apposita ed espressa disciplina in una specifica norma deontologica. ↩︎

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