Il divieto per il giudice dell’impugnazione di aggravare la decisione disciplinare quando ad appellare sia il (solo) sanzionato, e non pure la pubblica accusa o il Consiglio dell’ordine presso il quale l’incolpato stesso è iscritto, è ritenuto tuttora operante dalla giurisprudenza domestica (CNF nn. 110/2019, 136/2019, 202/2019, 52/2020, 217/2020, 81/2021, 243/2021, 6/2022), nonché da quella di Legittimità (Cass. nn. 2606/2020, 20383/2021).
Caratteristica comune a tutte le citate pronunce, tuttavia, è che nessuna motiva espressamente in merito al divieto stesso, limitandosi a darlo per pacifico.
Ma è davvero così scontato che, in ambito disciplinare, il CNF non possa infliggere all’incolpato una sanzione più grave di quella comminata in sede territoriale dal Consiglio Distrettuale di Disciplina?
Orbene, nella vigenza della “vecchia” legge professionale (RDL n. 1578/1933), il divieto in parola trovava (implicito) fondamento nell’art. 50 RDL cit., da cui peraltro lo si ricavava con ragionamento a contrario: in particolare, poiché detta norma disponeva che la sanzione disciplinare potesse aggravarsi in sede di gravame (solo) quando ad impugnare fosse il PM, se ne deduceva implicitamente (appunto, a contrario) che la sanzione disciplinare non potesse essere aggravata negli altri casi, cioè quando ad impugnare fosse il solo incolpato (CNF nn. 73/1991, 41/1992, 7/1997).
Tuttavia, analoga disposizione normativa non è stata (volutamente?) riprodotta nella “nuova” legge professionale (art. 61 L. n. 247/2012), sicché pare opportuno chiedersi se, ciononostante, il divieto di reformatio in pejus abbia ancora cittadinanza nell’attuale procedimento disciplinare forense.
Ebbene, una volta escluso che il divieto di reformatio in pejus sia ricavabile (ancorché implicitamente, come in passato) dal vigente Ordinamento professionale, occorre allora verificare se un tale divieto possa comunque quivi ritenersi operante in virtù di un’applicazione estensiva di norme dettate per altri giudizi (avendo natura eccezionale, secondo Carnelutti l’interpretazione analogica di tale principio sarebbe esclusa).
A tal proposito, allora, si consideri che:
- al procedimento dinanzi al CNF non si applica il codice di procedura penale (Cass. nn. 412/2020, 24109/2020, CNF n. 2019/2020) né, quindi, l’art. 597 cpp, da cui per quel rito si ricava il divieto di reformatio in pejus;
- l’impugnazione al CNF non è assimilabile all’appello disciplinato dal codice di procedura civile (Cass. nn. 6547/2021, 34476/2019), sicché non risulta applicabile in sede disciplinare ciò che per semplicità viene anche qui tradizionalmente definito (cfr. Calamandrei, Appunti sulla reformatio in peius, Riv.Dir.Proc.Civ., v. 6, n. 1, p.297-307, 1929; Carnelutti, Sulla reformatio in peius, Riv.Dir.Proc.Civ., v. 4, n. 1, p. 181-188, 1927) “divieto di reformatio in pejus” (arg. ex art. 112 cpc sul principio della domanda, in combinato disposto con gli art. 329 cpc e art. 342 cpc sulla natura devolutiva dell’appello), giacché il procedimento dinanzi al CNF non è un giudizio di secondo grado in senso stretto bensì un giudizio di primo grado giurisdizionale (CNF nn. 241/2020, 219/2017), avanti al quale la “domanda” giurisdizionale viene per la prima volta avanzata dinanzi all’ufficio disciplinare.
Resta quindi da verificare l’ordinamento amministrativo, che peraltro con il procedimento disciplinare ha forti analogie (se non vere e proprie identità).
Infatti, stante la natura (amministrativa giustiziale) del procedimento dinanzi al CDD (per tutte, Cass. n. 19030/2021), il procedimento (giurisdizionale) dinanzi al CNF appare del tutto assimilabile all’impugnazione, dinanzi al Giudice, dell’ordinanza-ingiunzione comminata in sede amministrativa.
Ebbene, secondo la normativa che disciplina tale impugnazione (art. 6 co. 12 e art. 7 co. 11 D.Lgs. n. 150/2011, già art. 23 L. n. 689/1981), il giudice del gravame può modificare anche in pejus l’importo della sanzione amministrativa impugnata, tanto che l’annullamento di alcune incolpazioni non determina necessariamente la corrispondente riduzione dell’importo comminato con l’ordinanza parzialmente annullata, come invece dovrebbe essere se si facesse rigorosa applicazione del divieto in parola (in arg. cfr. Carrato, Le opposizioni a sanzioni amministrative, nota 50).
Tale affermazione, oltre ad escludere che il divieto di reformatio in pejus sia un principio generale immanente dell’Ordinamento generale, quindi da applicare a tutte le impugnazioni anche a prescindere da una previsione normativa espressa, assume grande rilievo in ambito disciplinare proprio in ragione delle predette forti analogie tra i due procedimenti.
Tant’è vero che, anche in sede deontologica, si è già affermato che il parziale accoglimento dell’impugnazione NON impone in sede di appello al CNF una corrispondente riduzione della sanzione comminata dal Consiglio territoriale (cfr. Cass. n. 20383/2021 la quale ha superato il proprio precedente orientamento espresso con la sentenza n. 2506/2020, nonché CNF nn. 230/2022, 57/2022, 81/2021, 130/2020, 156/2019).
E, infatti, ad ulteriore dimostrazione del fatto che non si tratti di un principio immanente dell’Ordinamento giuridico, che dovrebbe cioè ritenersi comunque sussistente ancorché non espressamente previsto, la legge professionale dei commercialisti (D.Lgs. n. 139/2005) espressamente ammette che “Il Consiglio nazionale riesamina integralmente i fatti e, valutate tutte le circostanze, puo’ infliggere una sanzione disciplinare anche piu’ grave.” (art. 55).
Conclusivamente, in difetto di una previsione normativa (espressa o implicitamente ricavabile dal sistema) da parte del vigente Ordinamento professionale ed in mancanza di una semplicistica applicazione del divieto previsto per il processo civile e penale, nonché alla luce di quanto invece stabilito con riferimento all’analogo procedimento di opposizione giurisdizionale al provvedimento amministrativo di ordinanza-ingiunzione, mi pare astrattamente sostenibile che, quantomeno in assenza di contraria argomentazione, il divieto di reformatio in pejus non operi senz’altro nei giudizi avanti al CNF, il quale allora ben potrebbe aggravare la sanzione disciplinare anche nel caso in cui ad impugnare sia il solo incolpato.
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Per una ricostruzione storica e comparatistica dell’istituto, si rinvia a Toniolo, L’evoluzione del concetto della reformatio in peius e il suo divieto nel sistema delle impugnazioni del processo civile.