Sì, l’avvocato che tace in giudizio l’avvenuta ammissione del cliente al gratuito patrocinio commette un illecito deontologico. Questo comportamento viola i doveri di probità, dignità e decoro previsti dall’art. 9 del Codice Deontologico Forense (CDF), nonché i principi di lealtà e correttezza processuale.

L’art. 85 del DPR n. 115/2002 stabilisce che l’avvocato che presta il patrocinio a spese dello Stato non può richiedere alcun compenso al cliente, in quanto il suo compenso è già stabilito dalla legge e viene corrisposto direttamente dall’Erario. La mancata comunicazione dell’avvenuta ammissione al gratuito patrocinio può essere interpretata come un tentativo di ottenere un compenso non dovuto, configurando così un comportamento scorretto e contrario ai principi deontologici.

Inoltre, il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha più volte ribadito che la richiesta di compensi al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato costituisce un illecito disciplinare, anche se l’avvocato non fosse a conoscenza dell’ammissione al beneficio o della sua successiva revoca (CNF, sentenza n. 136 del 15 novembre 2019; CNF, sentenza n. 157 del 17 luglio 2021).

Pertanto, l’avvocato ha l’obbligo di informare il giudice e le altre parti processuali dell’avvenuta ammissione del cliente al gratuito patrocinio, al fine di garantire la trasparenza e la correttezza del procedimento.

Riferimenti:

  • Art. 9 Codice Deontologico Forense (CDF)
  • Art. 85 DPR n. 115/2002
  • CNF, sentenza n. 136 del 15 novembre 2019
  • CNF, sentenza n. 157 del 17 luglio 2021

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