L’articolo 68 del Codice Deontologico Forense (CDF) stabilisce che un avvocato, che abbia congiuntamente assistito i coniugi o i conviventi more uxorio in controversie familiari, non può successivamente assumere il mandato per la rappresentanza di uno di essi contro l’altro. Questa norma è volta a prevenire situazioni di conflitto d’interessi e a proteggere la riservatezza delle informazioni condivise dall’avvocato durante l’assistenza congiunta.
La violazione dell’articolo 68 CDF costituisce un illecito deontologico e può dare luogo a un procedimento disciplinare nei confronti dell’avvocato. Il principio di incompatibilità sancito da questo articolo trova fondamento nella necessità di mantenere l’integrità e la fiducia nel rapporto tra l’avvocato e i suoi clienti, nonché nel sistema giudiziario nel suo complesso.
La giurisprudenza disciplinare ha chiarito che il divieto di cui all’articolo 68 CDF è una forma di tutela anticipata al mero pericolo derivante dalla teorica possibilità di conflitto d’interessi, senza che sia necessario dimostrare l’utilizzo effettivo di conoscenze ottenute in ragione della precedente assistenza congiunta (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 16 del 1 febbraio 2021).
Inoltre, la violazione di questo articolo costituisce un illecito istantaneo che si consuma nel momento in cui l’incarico viene assunto, e non quando l’incarico termina. Pertanto, ai fini dell’individuazione del dies a quo prescrizionale per la prescrizione dell’azione disciplinare, rileva il momento dell’assunzione dell’incarico (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 135 del 18 luglio 2020).
In caso di elusione delle norme deontologiche, come tentare di aggirare il divieto assumendo un incarico tramite un collega di studio, ciò può avere un autonomo rilievo disciplinare per violazione del canone generale di lealtà e correttezza previsto dall’art. 9 CDF (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 141 del 22 novembre 2018).