Il divieto di conflitto di interessi non è disponibile, nel senso che non può essere derogato nemmeno con l’accordo delle parti. Questo principio è stato ribadito in diverse occasioni dalla giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense.
Ad esempio, nella sentenza n. 170 del 23 settembre 2020, il CNF ha affermato che il divieto di prestare attività professionale in conflitto di interessi anche solo potenziale (art. 24 cdf, già art. 37 codice previgente) risponde all’esigenza di conferire protezione e garanzia non solo al bene giuridico dell’indipendenza effettiva e dell’autonomia dell’avvocato ma, altresì, alla loro apparenza. Inoltre, ha sottolineato che l’eventuale autorizzazione della parte assistita, pur resa edotta e quindi scientemente consapevole della condizione di conflitto di interessi, non può valere ad assolvere il professionista dall’obbligo di astenersi dal prestare la propria attività.
Inoltre, nella sentenza n. 241 dell’8 novembre 2023, il CNF ha ribadito che la norma deontologica che vieta il conflitto di interessi tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato, e quindi anche la sola apparenza del conflitto, per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività.
Questi principi sono coerenti con l’obiettivo di mantenere l’alta considerazione sociale della professione forense e la fiducia del pubblico nell’indipendenza e nell’imparzialità degli avvocati, che sono fondamentali per il corretto funzionamento del sistema giuridico.