Il “fare marcia indietro” durante una trattativa, inteso come il ritrattare una proposta o un accordo precedentemente offerto o accettato, non ha di per sé un automatico rilievo deontologico. Tuttavia, la valutazione deontologica di tale comportamento dipende dalle circostanze specifiche del caso e dal modo in cui l’avvocato gestisce la situazione.

Secondo il Codice Deontologico Forense (CDF), l’avvocato deve agire con lealtà e buona fede nelle trattative e in ogni fase del rapporto professionale. Se il cambiamento di posizione durante una trattativa è motivato da ragioni legittime, comunicato in modo trasparente e non viola i principi di lealtà e buona fede, non dovrebbe configurarsi come un illecito deontologico.

Tuttavia, se il comportamento dell’avvocato è tale da configurare un inganno, una manipolazione o un abuso della fiducia della controparte o del proprio cliente, potrebbe essere considerato una violazione dei doveri deontologici e, di conseguenza, potrebbe essere soggetto a sanzioni disciplinari.

In ogni caso, per stabilire se vi sia stato un illecito deontologico, sarebbe necessario esaminare i dettagli specifici del caso e valutare se l’azione dell’avvocato sia stata conforme ai principi di diligenza, correttezza e buona fede previsti dal CDF. Non esistono, a mia conoscenza, disposizioni specifiche nel CDF che trattino direttamente il “fare marcia indietro” in una trattativa, pertanto l’analisi si baserebbe sui principi generali di condotta professionale.

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