Il principio del “ne bis in idem” si applica al procedimento disciplinare dinanzi al CDD secondo alcuni orientamenti, mentre secondo altri non trova applicazione.
Da un lato, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10852 del 23 aprile 2021 (pres. Manna, rel. Graziosi), ha affermato che il principio del “ne bis in idem” non si applica ai procedimenti disciplinari, in quanto questi ultimi sono ontologicamente diversi dai procedimenti penali o civili e non sono soggetti alle stesse regole di ordine pubblico processuale.
Dall’altro lato, il Consiglio Nazionale Forense ha espresso un orientamento opposto in diverse sentenze, tra cui la sentenza n. 332 del 27 dicembre 2023 (pres. f. Corona, rel. Arnau), affermando che nel procedimento disciplinare trova applicazione il principio del “ne bis in idem”. Secondo questa interpretazione, il principio si applica quando una condotta determinata sotto il profilo fattuale, storico e temporale sia stata già in precedenza delibata nel merito dal Giudice sotto l’aspetto deontologico e si sia pertanto consumato il potere disciplinare in ordine al fatto contestato.
Inoltre, altre sentenze del CNF hanno confermato questo orientamento, come la sentenza n. 194 del 3 ottobre 2023 (pres. Greco, rel. Pizzuto) e la sentenza n. 273 del 29 luglio 2016 (pres. De Michele, rel. Labriola).
In conclusione, esiste un contrasto interpretativo tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense riguardo all’applicabilità del principio del “ne bis in idem” nei procedimenti disciplinari dinanzi al CDD.