Sì, la punteggiatura può avere rilievo deontologico, ma non costituisce di per sé un illecito deontologico. Secondo una sentenza del Consiglio Nazionale Forense (CNF), l’intento denigratorio non può essere dedotto semplicemente dall’enfasi della punteggiatura. Nel caso specifico, una comparsa di costituzione e risposta con l’uso di tre punti esclamativi suggeriva una certa “temerarietà” della causa, ma non aveva un’oggettiva portata denigratoria. Pertanto, il CNF ha escluso la rilevanza disciplinare del comportamento dell’avvocato in questione (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 286 del 5 dicembre 2023).
Tuttavia, è importante notare che l’uso della punteggiatura deve essere valutato nel contesto complessivo della comunicazione e dell’intenzione dell’avvocato. Se la punteggiatura viene utilizzata in modo tale da rendere le espressioni offensive o sconvenienti, allora potrebbe essere considerata una violazione deontologica ai sensi dell’articolo 52 del Codice Deontologico Forense, che richiede agli avvocati di evitare espressioni offensive o sconvenienti nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi.