L’avvocato che cita un articolo di giornale in cui è coinvolto per falsi sinistri il collega di controparte al fine di ottenere l’accertamento della veridicità dei documenti prodotti deve agire con estrema cautela per non violare i principi deontologici.

Secondo il Codice Deontologico Forense (CDF), l’avvocato ha il dovere di mantenere un comportamento improntato a dignità, probità e decoro (art. 9 CDF). Inoltre, l’art. 50 CDF impone all’avvocato il dovere di verità nei rapporti con i colleghi e con le parti, vietando di introdurre nel processo elementi di prova o documenti che egli sappia essere falsi.

In particolare, l’art. 42 CDF (già art. 29 del codice previgente) stabilisce che l’avvocato deve astenersi da critiche personali verso il collega. Pertanto, se l’avvocato utilizza l’articolo di giornale per sollevare dubbi sulla veridicità dei documenti prodotti dal collega di controparte, deve farlo in modo che non si configuri come un attacco personale o una critica infondata.

Nel caso in cui l’avvocato non possa seguire contemporaneamente verità e mandato, leggi e cliente, la sua scelta deve privilegiare il dovere di ossequio alla verità e alle leggi, anche a costo di rinunciare al mandato (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 19 marzo 2018, n. 8).

In sintesi, l’avvocato deve agire con prudenza e rispetto, evitando di formulare accuse infondate o critiche personali verso il collega di controparte. Se l’azione è motivata da un legittimo interesse a verificare la veridicità dei documenti prodotti, e viene condotta nel rispetto dei principi deontologici, non dovrebbe configurarsi una violazione. Tuttavia, ogni caso specifico può presentare peculiarità che richiedono una valutazione attenta e contestualizzata.


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