Sì, l’avvocato viola il dovere di segreto e riserbo anche se riferisce fatti già noti ai terzi. Questo principio è stato affermato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 4 del 22 gennaio 2024 (pres. F. Napoli, rel. Cassi), dove si stabilisce che l’obbligo per l’avvocato di non divulgare informazioni conosciute in occasione dell’incarico professionale prescinde dall’eventuale conoscenza dei fatti da parte dei soggetti ai quali gli stessi vengono riferiti.
Inoltre, il dovere di riservatezza dell’avvocato è posto esclusivamente a tutela della sfera privata del cliente o parte assistita e non anche di quella della controparte, come stabilito nella sentenza del Consiglio Nazionale Forense del 10 giugno 2014, n. 84 (Perfetti, rel. Salazar).
Il Codice Deontologico Forense all’articolo 28 stabilisce chiaramente il dovere di segretezza e riservatezza dell’avvocato, indicando che l’avvocato è tenuto al segreto professionale anche nei confronti degli ex-clienti e delle persone che si rivolgono a lui per assistenza senza che il mandato sia accettato. Inoltre, l’avvocato deve richiedere il rispetto del segreto professionale anche ai propri collaboratori e dipendenti.
Le eccezioni a questa regola sono limitate e devono essere strettamente necessarie per il fine tutelato, come ad esempio per lo svolgimento delle attività di difesa o per impedire la commissione di un reato di particolare gravità.
Infine, la Corte di Cassazione, nelle Sezioni Unite, con la sentenza n. 10852 del 23 aprile 2021 (pres. Amoroso, rel. Campanile), ha ribadito che il dovere di difesa non giustifica la commissione di illeciti deontologici a pretesa tutela del cliente.
Questi sono i principali riferimenti giurisprudenziali che trattano il tema del dovere di segreto e riserbo da parte dell’avvocato.