Sì, nel quadro di un procedimento disciplinare forense, le dichiarazioni dell’esponente e quelle dell’incolpato hanno generalmente lo stesso valore probatorio. Ciascuna di esse può essere utilizzata come elemento di prova, purché siano supportate da altri elementi oggettivi e documentali. Entrambe le dichiarazioni devono essere esenti da lacune e vizi logici per assumere valore probatorio. Tuttavia, è importante notare che la valutazione delle prove nel contesto di un procedimento disciplinare è compito del consigliere istruttore del consiglio distrettuale di disciplina (CDD) o del Consiglio nazionale forense (CNF), che può dare un peso diverso a diversi tipi di prove a seconda del contesto e delle circostanze specifiche. Il principio di parità delle armi, sancito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), impone che ciascuna parte abbia la stessa possibilità di presentare e sostenere il proprio caso, compresa la presentazione di prove. Questo significa che le dichiarazioni dell’esponente e dell’incolpato dovrebbero essere valutate in modo equo e imparziale. Tuttavia, come specificato nella sentenza n. 178 del 9 ottobre 2020 del CNF, l’esposto disciplinare da solo non basta ad affermare la responsabilità disciplinare dell’incolpato. È necessario che le accuse siano sostenute da ulteriori prove. Analogamente, le dichiarazioni dell’incolpato da sole non sono sufficienti a determinare l’innocenza, ma devono essere supportate da altre prove. In caso di contraddittorietà o equivalenza delle prove di colpevolezza e di innocenza, come specificato nella sentenza n. 88 del 1° giugno 2022 del CNF, il giudizio dovrebbe orientarsi verso un esito di esclusione di responsabilità dell’incolpato.