Nel contesto deontologico forense, i termini “segretezza” e “riservatezza” sono spesso utilizzati in modo intercambiabile, ma possono avere sfumature di significato leggermente diverse.
La “segretezza” si riferisce generalmente all’obbligo di non divulgare informazioni confidenziali relative a un mandato professionale. Questo obbligo è sancito dall’articolo 28 del Codice Deontologico Forense (CDF), che impone all’avvocato di mantenere il segreto su tutto ciò che è venuto a conoscenza per ragione del suo ufficio. La violazione di questo dovere può comportare sanzioni disciplinari.
La “riservatezza”, invece, si riferisce all’obbligo più ampio di proteggere la privacy e le informazioni personali del cliente, evitando di condividerle senza il consenso esplicito del cliente stesso, a meno che non sia richiesto per legge o per l’esecuzione del mandato professionale. La riservatezza è anch’essa un principio fondamentale della professione forense, come indicato dall’articolo 2 del CDF, che sottolinea il rispetto dei diritti della persona e la tutela della sua riservatezza.
In sintesi, mentre la segretezza si concentra specificamente sul non rivelare segreti professionali, la riservatezza ha un ambito più ampio e include la protezione di tutte le informazioni personali e sensibili del cliente. Entrambi i concetti sono essenziali per garantire la fiducia tra l’avvocato e il suo cliente e per il corretto esercizio della professione forense.