Sì, scrivere in un atto giudiziario che il giudice farebbe meglio a tornare all’università costituisce un illecito deontologico. L’avvocato ha il dovere di mantenere un comportamento rispettoso e corretto nei confronti del giudice e degli altri professionisti coinvolti nel processo. L’insulto o la mancanza di rispetto possono compromettere la relazione di fiducia tra l’avvocato e il giudice, e possono anche avere conseguenze disciplinari per l’avvocato. Inoltre, l’uso di espressioni offensive o denigratorie può influire negativamente sulla credibilità dell’avvocato e sulla sua capacità di rappresentare efficacemente il cliente.

Inoltre, esistono diverse sentenze del Consiglio Nazionale Forense (CNF) in merito all’uso di espressioni sconvenienti nei confronti del magistrato. Ad esempio, una sentenza del CNF del 27 settembre 2018, n. 113, ha stabilito che non sussiste un rapporto di specialità tra gli articoli 52 e 53 del codice deontologico forense, e che l’utilizzo di espressioni sconvenienti ed offensive negli scritti in giudizio può comportare la violazione di entrambe le norme. In un’altra sentenza del CNF del 25 settembre 2017, n. 136, è stato affermato che è ininfluente il fatto che il giudice civile abbia omesso di provvedere in ordine alla richiesta di cancellazione delle espressioni offensive, poiché il giudice della disciplina ha completa libertà di effettuare pieno riesame delle espressioni utilizzate sotto il profilo deontologico, indipendentemente dalla valutazione che possa fare il giudice del merito in ambito di responsabilità civile o penale circa il carattere offensivo o meno delle frasi stesse. In generale, il CNF ha sempre sottolineato l’importanza del rispetto e della correttezza nei confronti del magistrato, e ha sanzionato gli avvocati che hanno utilizzato espressioni sconvenienti o offensive nei loro scritti o durante le udienze.


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